Nonostante il flusso incessante di cattive notizie provenienti da tutto il mondo, ci sono ancora buone ragioni per essere ottimisti. Un esempio è la diffusa determinazione di produrre localmente farmaci in Africa, il che dimostra che perfino eventi catastrofici come una pandemia possono portare anche a esiti positivi.
Lo shock provocato dal covid-19 ha sottolineato la necessità di finanziare la sanità pubblica e ampliare l’accesso a tecnologie essenziali e a farmaci per la prevenzione e la cura, e avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme per politici e cittadini di tutto il mondo. Invece una volta portato il virus sotto controllo, i paesi ricchi sono tornati alle stesse politiche che avevano reso così disuguale la risposta alla pandemia.
Dopo la pandemia diversi governi africani e organizzazioni internazionali hanno lanciato iniziative per aumentare la produzione locale di farmaci
Nessuna parte del mondo ha sofferto più dell’Africa gli effetti di queste disuguaglianze. I paesi africani sono stati gli ultimi a ricevere i vaccini per il covid-19, scalzati da quelli più ricchi, e sono rimasti senza le tecnologie necessarie alla produzione interna. Anche se il continente ospita il 18 per cento della popolazione mondiale, alla fine del 2021 aveva ricevuto solo il 3,3 per cento di tutti i vaccini. Alla fine del 2022 la quota era leggermente aumentata al 5,5 per cento.
Anche prima della pandemia l’Africa stava facendo i conti con il disinteresse globale per le epidemie di ebola, zika e mpox (vaiolo delle scimmie) e per patologie endemiche come la malattia del sonno. Uno degli ostacoli maggiori quando si affrontano queste crisi sanitarie è la dipendenza da farmaci d’importazione. Anche se il continente sopporta un quarto del carico globale di malattie, solo il 2 per cento della ricerca medica si svolge in Africa, dove più del 90 per cento dei vaccini e il 70 per cento dei farmaci usati sono importati. Inoltre solo il 15 per cento dei laboratori farmaceutici attivi in Africa è di proprietà locale.
Per fortuna l’esperienza del covid-19 sembra aver innescato un cambiamento. Durante la pandemia i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) hanno gettato le basi per una cooperazione intergovernativa, supportando le risposte regionali in condizioni di estrema difficoltà. E di recente diversi governi del continente e organizzazioni internazionali hanno lanciato iniziative per aumentare la produzione locale di farmaci.
Una è l’African pharmaceutical technology foundation, sostenuta dalla Banca di sviluppo africana. La fondazione si è impegnata a investire fino a tre miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per sviluppare medicinali in Africa, riducendo così la dipendenza dalle importazioni. Un altro esempio è il programma della Medicines patent pool per trasferire la tecnologia a mRna, patrocinato dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalle Nazioni Unite. L’obiettivo del programma, gestito dall’azienda biotecnologica Afrigen con sede a Città del Capo, in Sudafrica, è permettere a quindici paesi a basso e medio reddito di produrre vaccini a mRna. Concentrato inizialmente sui vaccini per il covid-19, in seguito il programma è stato esteso ad altre malattie molto diffuse nel continente e a terapie per il cancro.
Queste iniziative devono superare varie sfide, in particolare convincere le case farmaceutiche a condividere le loro tecnologie. L’accesso alle conoscenze, però, da solo non basta. Dato che i processi produttivi richiedono competenze specialistiche, all’Africa servono soprattutto programmi educativi e percorsi di formazione completi. Questo richiede uno sforzo maggiore a livello regionale, ma sembra che i governi africani lo stiano valutando.
Un altro ostacolo è la concorrenza delle grandi aziende del settore. La Novartis, che in passato ha avviato dispute legali sui brevetti con paesi come l’India, ha già annunciato di voler quintuplicare entro il 2025 il numero di pazienti raggiunti nell’Africa subsahariana. Per costruire un settore farmaceutico africano è fondamentale dare peso alla proprietà locale e assicurarsi che le multinazionali non monopolizzino i vantaggi.
Con la sua varietà genetica l’Africa è un tesoro di dati, perciò il rischio di furto di conoscenze e d’informazioni preoccupa. Al momento del suo lancio nel 2019, la Pathogen genomics initiative dei Cdc, una piattaforma per condividere i dati sulla genomica dei patogeni e contrastare le epidemie, era stata celebrata come un risultato importante, ma oggi ci sono fondati timori che il trattato mondiale sulle pandemie renda questi dati accessibili a livello globale, a vantaggio delle grandi aziende farmaceutiche dei paesi ricchi.
Le sfide con cui devono fare i conti i paesi africani per assumere il controllo sul loro destino sanitario sono immense. La loro determinazione ad aumentare la produzione di farmaci e vaccini nel continente, però, è un buon inizio. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati