La sera del 7 settembre è arrivata la notizia che il vincitore delle elezioni venezuelane del 28 luglio è partito in esilio verso la Spagna. La cacciata del candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia, 75 anni, era solo questione di tempo, ma non per questo è stata meno sorprendente. L’episodio solleva diverse domande sul futuro del Venezuela. Davvero il presidente Nicolás Maduro può permettersi di alterare impunemente il risultato del voto? Come si potrà tornare alla democrazia? È l’ennesimo episodio della tormentata storia politica del paese?
Per molto tempo in Venezuela è stata usata la metafora del giorno della marmotta, che si riferisce al film Ricomincio da capo, in cui il protagonista continua a vivere lo stesso giorno all’infinito. L’immagine alludeva all’opposizione, che costantemente tentava di arrivare al potere usando scorciatoie e continuava a fallire. Tuttavia nel 2024 le forze democratiche sono riuscite a unirsi per partecipare alle elezioni, senza garanzie di regolarità, ma con buone possibilità di successo. In questo modo è stato infranto temporaneamente quel circolo vizioso. Vincere, però, non è bastato, e neanche pubblicare i risultati e mandare segnali alla comunità internazionale.
La decisione di Nicolás Maduro di sabotare le elezioni è un grande passo indietro. La sua riconferma, infatti, non è stata riconosciuta dai governi democratici stranieri
L’esilio di González in Spagna può essere letto in diversi modi. Da un lato rappresenta una prova di forza di Maduro, ma al tempo stesso evidenzia chiaramente che da gennaio, quando s’insedierà il governo, se il leader chavista comincerà un terzo mandato sarà un presidente di fatto, non riconosciuto dalla comunità internazionale.
Moisés Durán, funzionario in uno dei governi di Hugo Chávez, dice che “González è stato sottoposto a una pressione dantesca. La sua partenza naturalmente avrà delle conseguenze, ma non è determinante per la lotta politica. Inoltre l’esilio mette in cattiva luce il governo”.
In Venezuela si è provato di tutto per scalzare il chavismo dal potere, con mezzi legali e non: dal colpo di stato del 2002 ai boicottaggi elettorali fino al 2019, quando è stato creato un governo ad interim parallelo a quello di Maduro e guidato da Juan Guaidó.
Le trattative diplomatiche non sono mancate. La più recente, avviata in Messico nel 2021, si è bloccata quasi subito per poi riprendere nel 2023 e produrre l’accordo delle Barbados, frutto a sua volta del patto bilaterale di Doha, in Qatar, stretto tra l’amministrazione statunitense guidata da Biden e il regime di Maduro. Nel 2019 il governo ad interim è stato riconosciuto da circa sessanta paesi, guidati dagli Stati Uniti, ma nel 2022 è stato smantellato: la sua richiesta ripetuta di continuo – esecutivo di transizione e libere elezioni – non si è concretizzata. A quel punto al Venezuela sono state imposte le sanzioni internazionali.
Juan Guaidó è andato in esilio nell’aprile 2023. Con la sua uscita di scena sembrava scontato che Maduro rimanesse al potere per altri sei anni. Caracas ha stretto un patto con Washington per allentare le sanzioni. Uno degli obiettivi era riabilitare la reputazione internazionale del Venezuela. Al tempo stesso altri settori si preparavano a convivere con il madurismo sotto l’ombrello della politica economica neoliberista, ispirata, secondo i funzionari, al modello cinese.
Ma nel paese latinoamericano succedono sempre cose straordinarie, come dimostra il voto del 28 luglio, concluso con la vittoria di González, un’impresa che sarebbe stata impensabile solo un anno fa e che si spiega anche con la capacità della leader dell’opposizione di centrodestra María Corina Machado.
La decisione di Maduro di sabotare le elezioni e di proclamarsi vincitore è un grande passo indietro per il regime. La sua riconferma, infatti, non è stata riconosciuta dai governi democratici stranieri, mentre gli Stati Uniti si preparano a imporre nuove sanzioni. Negli ultimi giorni le forze di sicurezza venezuelane hanno accerchiato l’edificio dell’ambasciata argentina a Caracas, dove sono rifugiate alcune persone che fanno parte dello staff di Machado, che era sotto la gestione del Brasile. E poi Maduro ha revocato la gestione brasiliana dei locali dell’ambasciata, provocando la reazione del governo di Lula.
L’eredità dell’esperienza del governo ad interim si è sentita nelle discussioni della comunità internazionale, da qui deriva la cautela nel riconoscere González Urrutia come presidente eletto. Tuttavia, a differenza del 2019, stavolta il governo di Maduro ha fatto ricorso a pratiche più deprecabili del solito. Sul suo profilo X, María Corina Machado ha scritto che la vita di González Urrutia “era in pericolo”.
Il 7 settembre è stato un giorno triste per la democrazia, non solo in Venezuela ma in tutto il mondo. Con l’esilio del vincitore delle elezioni, vediamo ancora una volta qual è l’atteggiamento del governo di Maduro. Le democrazie del resto del mondo devono agire di conseguenza. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati