◆ Un paese presepe (Calitri, in Alta Irpinia) per tre giorni si è messo in scena aprendo le porte delle case degli avi, arredandole, apparecchiando tavole e recitando le maschere dei mestieri, dei riti e delle convenzioni sociali che quelle case hanno abitato al culmine della dodicesima notte, quella della befana. Nella pubblica piazza è stato dato fuoco a un’enorme catasta di legna, costruita con un sapere antico. Fratello fuoco, questa misteriosa creatura vivente, ha occupato l’aria per l’altezza di un palazzo: una veste mutevole a ogni istante, una fantasmagoria. Nel fuoco della befana bruciano le feste cominciate con la notte dei morti.
Alcuni ci buttano dentro cose di cui liberarsi, altri guardano incantati questo modo ancestrale di fare pulizia per fare spazio al nuovo che arriva. È il dramma più antico della condizione umana questo lacerarsi tra memoria e futuro, tra nostalgia e gratitudine, e le grandi fiamme sembrano proprio farci vedere tutti i fantasmi che è necessario bruciare per poter vivere. La nostalgia è un sentimento insidioso, la gratitudine è la provata capacità di amare. Nulla si crea, tutto si trasforma, però una cosa è certa: dalla cenere non si torna indietro. Sulla parete di legno davanti al fuoco i ragazzi che lo hanno allestito avevano scritto: governatevi. Mi è sembrata l’esortazione più ambiziosa con la quale cominciare il 2025. Una vera epifania.
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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati