Nell’attesa di acquistare una libreria nuova, i miei libri giacciono su qualsiasi superficie disponibile, pavimento compreso. Succede così d’inciampare su uno ricevuto mesi fa, di cui si era appropriata mia madre solo per restituirmelo poco convinta. In fin dei conti, La buona educazione sembra tratteggiare una madre terribile, e a nessun genitore piace rispecchiarsi nella versione peggiore di se stessi. Fissazioni, pantomime, ramanzine: il rapporto totalizzante tra una figlia e una madre è cadenzato da “un italiano privo di accento”, una voce possente e uno sguardo severo. Le parole, che Antonella usa per fornire alla figlia un’educazione impeccabile piena di dettami, ingabbieranno Lisa in una sensazione di inadeguatezza e in una vita di non detti. L’esordio di Alice Bignardi descrive, con un tono pacato e privo di moralismi, la relazione di cura (che s’inverte) tra una madre e una figlia, e lo fa in maniera frammentata, a cominciare dalla fine: non tanto come avviene, ma come la si ricorda. Forse proprio per quel tono, e anche per l’incipit (“Mamma è una parola densa. Resta nell’aria”), La buona educazione mi sembra un libro in dialogo con Come d’aria, quando Ada D’Adamo scrive di voler “spezzare la divisione tra buone e cattive madri”. Un romanzo breve e denso sulle imperfezioni di un rapporto da sempre romanticizzato, ma qui svelato negli attimi di amore incondizionato e odio assoluto. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 77. Compra questo numero | Abbonati