Sarà che al liceo avevo compagni che facevano il saluto romano, sarà che la scorsa estate ho trascorso del tempo in un gruppo Telegram di fascistelli, sarà la strizzata d’occhio all’autofiction, ma ho trovato La parte sbagliata respingente prima ancora di cominciarlo. Forse è normale che certi libri c’infastidiscano perché ci pongono davanti a un fallimento e in fondo non mi ero mai chiesta davvero cosa spingesse un liceale a dirsi fascista. L’esordio di Davide Coppo ha il tono sussurrato di una confessione, fatta di una scrittura dettagliata che scava veramente quando trova le radici della parte sbagliata: nell’estetica, nella noia, nella solitudine, nella provincia, nella casualità. Ettore fa il liceo classico, sta appassendo nell’adolescenza e nell’indifferenza, fatica a trovare un proprio posto. Individuerà una casa e un’identità tra i giovani dell’estrema destra, dividendo il mondo in zecche e camerati, scegliendo da che parte stare, illudendosi che sia quella giusta. È un romanzo sulla formazione identitaria di Ettore, che snocciola la formazione ideologica del missino di oggi: dall’Ira a Jan Palach, da Tolkien alla Palestina. Leggere questo libro è come rivedersi in uno specchio nuovo: lo stesso riflesso, la stessa adolescenza di tutti, ma leggermente deformato, dove qualcosa è andato storto. Soffermarsi su quel qualcosa è più urgente che mai. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati