La Tunisia si prepara alle legislative anticipate del 17 dicembre, l’ultima tappa del processo di riforme in senso autoritario avviato dal presidente Kais Saied con il colpo di mano del 25 luglio 2021. Molte forze politiche, dagli islamisti di Ennahda al Partito desturiano libero, nostalgico di Ben Ali, hanno già fatto sapere che boicotteranno il voto. Il tasso d’astensione si preannuncia alto, ma forse non basterà a dissuadere Saied dal portare avanti il suo progetto politico. Secondo Riadh Zghal, che scrive sul mensile tunisino Leaders, invece di rimediare ai difetti del sistema nato dopo la rivoluzione del 2011, Saied, accentrando tutto il potere, “si è dedicato a un’opera di distruzione: nuova costituzione, nuova legge elettorale, licenziamenti di giudici… Niente sembrava poter fermare il suo rullo compressore”. Di certo, il boicottaggio non basterà a convincerlo a dialogare con gli altri partiti. Ma ignorare le richieste della società, ricorda Zghal, “comporta delle conseguenze. Porta a diffidare dello stato. In Tunisia la più grande ricchezza è il capitale umano, e trascurarlo significa compromettere il futuro del paese”. ◆
Boicottaggio in vista
Uccisa a sedici anni
Il 12 dicembre l’esercito israeliano ha riconosciuto di aver ucciso “in modo non intenzionale” un’adolescente palestinese durante un raid a Jenin, nella Cisgiordania occupata. In mattinata il ministero della salute palestinese aveva denunciato la morte di Jana Zakarna, sedici anni, colpita alla testa sul tetto di casa mentre i soldati israeliani conducevano un’irruzione che ha portato a uno scambio di colpi con dei combattenti locali. Il sito palestinese Arab48 ricorda che da mesi in Cisgiordania sta aumentando la tensione.
La guerra contro i minori
Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) ha fatto sapere il 12 dicembre che più di undicimila bambini sono stati uccisi o mutilati nella guerra civile yemenita, che si è intensificata quasi otto anni fa. Il bilancio però potrebbe essere ancora più alto, scrive Relief Web. Dal 2015, quando una coalizione guidata dall’Arabia Saudita intervenne contro i ribelli sciiti huthi, che l’anno prima avevano conquistato la capitale Sanaa, sono morte centinaia di migliaia di persone nei combattimenti o per conseguenze indirette della guerra, come la fame e le epidemie .
Le prime due impiccagioni
Il regime di Teheran ha eseguito le condanne a morte di due persone accusate di avere legami con la contestazione che va avanti da tre mesi in tutto l’Iran. Majidreza Rahnavard è stato impiccato in pubblico all’alba del 12 dicembre a Mashhad, nel nordest del paese. Rahnavard, 23 anni, era stato riconosciuto colpevole di “ostilità contro Dio” per aver pugnalato a morte due esponenti della milizia paramilitare basij. L’8 dicembre con la stessa accusa era stato messo a morte Mohsen Shekari, anche lui di 23 anni. La magistratura iraniana ha pronunciato undici condanne a morte contro persone considerate legate alle proteste, ma secondo gli attivisti per i diritti umani decine di altre rischiano la pena capitale. Il giornale riformatore iraniano Etemaad avverte del rischio di “un aumento della frustrazione e della collera, che non è nell’interesse del paese”. Il 13 dicembre diversi tribunali di Teheran hanno condannato quattrocento persone a pene fino a dieci anni di carcere per aver partecipato alle proteste.
Costrette ad abortire
Dal 2013 l’esercito della Nigeria, nella lotta contro i jihadisti di Boko haram, ha portato avanti nel nordest un programma segreto e illegale per far abortire le donne sequestrate dai miliziani che, una volta liberate, scoprivano di essere incinte. Lo rivela un’inchiesta dell’agenzia Reuters, secondo cui le donne coinvolte sono almeno diecimila. Nella stragrande maggioranza dei casi gli venivano somministrati dei farmaci di nascosto. Il ministro dell’informazione nigeriano Lai Mohammed ha categoricamente smentito l’esistenza del programma. In una seconda inchiesta, la Reuters ha intervistato 44 persone che affermano di aver visto i soldati nigeriani uccidere intenzionalmente dei bambini nel corso delle operazioni antiterrorismo.
Sudafrica Il 13 dicembre il parlamento ha deciso di non continuare la procedura che avrebbe portato alla messa in stato d’accusa del presidente Cyril Ramaphosa ( nella foto, i suoi sostenitori ). L’African national congress, al potere, ha votato compattamente in difesa del leader.
Libia-Stati Uniti Il 12 dicembre è comparso in tribunale a Washington, negli Stati Uniti, il libico Abu Agila Masud Kheir al Marimi, 71 anni, accusato di aver fabbricato la bomba che nel 1988 esplose sul volo Pan Am 103 in volo sopra Lockerbie. L’attentato causò 270 morti.
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