Si è aperto il 21 maggio a Parigi il processo a tre alti funzionari del governo siriano – Ali Mamlouk, Jamil Hassan e Abdel Salam Mahmoud – per complicità in crimini di guerra e contro l’umanità, scrive L’Orient-Le Jour. I tre sono giudicati in contumacia per le sparizioni forzate di Mazen e Patrick Dabbagh, padre e figlio dalla doppia nazionalità francese e siriana, incarcerati nel 2013 dal regime di Bashar al Assad ( nella foto ). La famiglia non ha avuto loro notizie fino al 2018, quando ha ricevuto i loro certificati di morte. Mazen lavorava nella scuola francese di Damasco, il figlio era studente. Nessuno dei due aveva partecipato alle proteste contro il regime di Assad.
Alti funzionari sotto processo
Un saggio scomodo
Un tribunale maliano il 20 maggio ha condannato a due anni di prigione Étienne Fakaba Sissoko, un professore dell’università di Bamako, per “attacco all’immagine dello stato”, scrive Jeune Afrique. L’economista ha pubblicato un saggio sulla comunicazione usata dal governo di transizione, accusando le autorità di aver fatto propaganda.
Fuoco sui civili
Almeno dodici persone sono rimaste uccise e decine ferite il 20 maggio quando i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) hanno bersagliato con l’artiglieria Al Fashir, il capoluogo del Darfur Settentrionale , per strapparla al controllo dell’esercito sudanese e delle forze sue alleate, scrive Sudan Tribune. Secondo il ministero della salute locale, sono stati colpiti anche un ospedale e il campo profughi di Abu Shouk. A Nyala, nel Darfur Meridionale, sono ripresi i bombardamenti aerei dell’esercito contro le postazioni delle Rsf. In più di un anno di guerra in Sudan sono morte almeno 14.700 persone. Più di 25 milioni – oltre la metà della popolazione – hanno bisogno di aiuti umanitari.
Un golpe anomalo
Il 19 maggio nella capitale congolese Kinshasa una cinquantina di uomini armati ha fatto irruzione nella casa del vicepremier Vital Kamerhe e nella sede della presidenza. Sono stati fermati dalle forze di sicurezza, che hanno ucciso sei degli aggressori (tra cui il capo, Christian Malanga, congolese rifugiato negli Stati Uniti) e arrestato il resto del gruppo, di cui facevano parte anche tre statunitensi, tra cui il figlio di Malanga. Dopo il “colpo di stato mancato”, scrive il quotidiano di Kinshasa Forum des As, le autorità non hanno decretato il “coprifuoco né misure d’isolamento”, contrariamente a quanto affermano alcune voci in circolazione. Secondo fonti locali gli aggressori venivano da Brazzaville, sulla sponda opposta del fiume Congo, e sventolavano la bandiera dello Zaire, com’era chiamata la Rdc sotto la dittatura di Mobutu Sese Seko (1965-1997). Ad alcuni osservatori il presunto golpe è apparso poco “professionale”, visto che gli aggressori non hanno cercato di occupare infrastrutture nevralgiche o centri di potere, e non conoscevano l’indirizzo di alcuni obiettivi. ◆
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