Il fatto che il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) abbia chiesto un mandato d’arresto per i leader di Israele e di Hamas, sospettati di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità, è innanzitutto un duro colpo per Israele. È comprensibile che i palestinesi considerino la decisione ingiusta dato che, dal loro punto di vista, mette sullo stesso piano la vittima e il carnefice, chi resiste e chi colonizza.

Ma la decisione del procuratore Karim Khan avrà conseguenze negative soprattutto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e per il ministro della difesa Yoav Gallant, che saranno ostracizzati in molti paesi. E, cosa ancora più importante, mette sotto pressione la macchina di distruzione israeliana mentre aumentano le tensioni tra Stati Uniti e Israele e s’inaspriscono le contraddizioni all’interno del governo israeliano.

Inoltre, in questo modo, le Nazioni Unite considerano finalmente Israele un normale stato della comunità internazionale. Si tratta di una svolta storica che va oltre il destino dei singoli individui per mettere in dubbio il modello coloniale d’Israele. Uno stato che vuole essere considerato moralmente irreprensibile mentre distrugge la Striscia di Gaza e applica una punizione collettiva a un intero popolo da quasi otto mesi.

Resta da capire se la decisione del procuratore sarà seguita da una presa di coscienza della comunità internazionale sul fatto che non è più possibile cercare la stabilità in Medio Oriente senza esercitare pressioni serie su Israele perché fermi la guerra e riconosca il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi. Anche per i suoi più forti sostenitori in occidente, Israele sta diventando un peso. Il risveglio della coscienza morale globale e della giustizia internazionale è un riflesso dell’incapacità di Israele di risolvere la guerra a Gaza e della sua riluttanza a cercare una via d’uscita. ◆ cat

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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati