Il 3 maggio è uscita We will stay here. Music for Palestine, compilation di brani pubblicata dalla Love Boat Records il cui ricavato andrà all’ente britannico Medical Aid for Palestinians. Dall’inizio della guerra contro Gaza e il massacro dei civili palestinesi (di cui si tende a parlare soprattutto ogni volta che i morti arrivano a una cifra tonda, come se lo spazio tra queste ricorrenze fosse un brusio difficilmente veicolabile) il fronte della musica si è diviso tra chi ha preso la parola, nominando Gaza su palchi piccoli e palchi importanti, e chi ha optato per un silenzio misto tra timidezza e convenienza. Alcuni hanno manifestato il loro dissenso in forme rituali e altri in forme molto politiche, anche sul territorio. Questa raccolta di 14 pezzi inediti si distingue per quello che contiene musicalmente, a partire da Phoenix plain della compositrice Sara Persico, che in un certo senso apre la scena: il brano comincia con un suono di sirene, mare e polvere che fa da contraltare ai materiali umani di La zona d’interesse. Il richiamo allo stile di Mica Levi non è inevitabile, ma va fatto, perché si è detto molto di quell’operazione sull’orrore in absentia fatta nella Zona d’interesse. Qui invece c’è una necessità di presenza, di storia più che di fantasmi, e anche se i suoni che attraversano We will stay here appartengono all’elettronica, all’ambient e alla trascendenza percussiva tipica delle latitudini a cui rivolgono l’ascolto, si tratta di interventi precisi, che occupano spazio, e che all’eleganza della rarefazione preferiscono un confronto non ambiguo e rumoroso con la storia. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati