Q uando gli esseri umani competono con le macchine, i salari si abbassano e i posti di lavoro spariscono. Tuttavia alla fine nascono nuove categorie di lavori migliori. La meccanizzazione dell’agricoltura nella prima metà del novecento o i progressi nell’informatica tra gli anni cinquanta e sessanta sono stati accompagnati da una crescita economica diffusa negli Stati Uniti e in altri paesi. Negli ultimi decenni però qualcosa in questo rapporto si è incrinato. Dagli anni ottanta abbiamo assistito alla rivoluzione robotica nel settore manifatturiero, all’ascesa dei software in ogni ambito, all’internet delle cose e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. In quel periodo però la crescita del pil negli Stati Uniti è rallentata, le disuguaglianze sono aumentate e i guadagni di molti lavoratori, soprattutto maschi non laureati, sono diminuiti drasticamente. Anche la globalizzazione e il declino dei sindacati hanno avuto un ruolo in questo processo.
A Washington hanno cominciato a prendere sul serio la questione. I politici stanno riflettendo sul lavoro del professor Daron Acemoğlu del Massachusetts institute of technology (Mit), le cui ricerche dimostrano che l’automazione di massa non rappresenta più un vantaggio per il capitale e i lavoratori. Nel corso di un’audizione alla camera dei rappresentanti nel novembre 2021, Acemoğlu ha dichiarato che l’automazione, cioè la sostituzione dei lavoratori con macchine e algoritmi, è responsabile del 50-70 per cento delle disuguaglianze economiche registrate tra il 1980 e il 2016.
La meccanizzazione dell’agricoltura o i progressi nell’informatica sono stati accompagnati da una crescita diffusa. Negli ultimi decenni però qualcosa si è incrinato
Perché sta succedendo? In sostanza, mentre l’automazione dell’inizio del novecento e del dopoguerra “ha accresciuto la produttività dei lavoratori in diversi settori industriali, creando opportunità di lavoro”, ha dichiarato Acemoğlu alla camera, “dalla metà degli anni ottanta abbiamo vissuto un’accelerazione dei processi di automazione e una decelerazione nell’introduzione di nuove mansioni”. Per dirla in parole povere, ha aggiunto, “il portfolio tecnologico dell’economia statunitense è diventato molto più squilibrato a discapito dei lavoratori, soprattutto di quelli meno istruiti”. C’è di più: alcune cose che stiamo automatizzando non hanno tutti questi benefici economici. Prendiamo le casse automatiche nei supermercati, che costringono i clienti a scansionarsi da soli gli acquisti. Magari faranno risparmiare qualcosa sui costi della manodopera, ma di sicuro non incrementano la produttività come farebbe invece, che so, una mietitrebbia a guida automatica.
La tecnologia però non può essere imbrigliata. Il punto è assicurarci che anche i lavoratori possano godere dei suoi benefici. Nel suo discorso all’edizione online del forum di Davos a gennaio la segretaria del tesoro statunitense Janet Yellen ha detto che i recenti miglioramenti in termini di produttività creati dalla tecnologia potrebbero far aumentare le disuguaglianze. Ha osservato che, anche se la crescita del telelavoro prodotta dalla pandemia farà aumentare la produttività del 2,7 per cento negli Stati Uniti, a guadagnarci saranno soprattutto i redditi più alti, così come sono stati soprattutto gli studenti bianchi e più ricchi a trarre vantaggio dalla didattica a distanza. L’istruzione è l’ambito in cui è più urgente combattere la disuguaglianza tecnologica. Per questo l’amministrazione Biden ha voluto finanziare le università locali, i programmi di apprendistato e la formazione professionale. L’idea è impedire lo svuotamento del mercato del lavoro in settori che hanno assecondato l’adesione di Clinton al libero scambio senza protezioni adeguate per i lavoratori. La rabbia degli operai degli stati del Midwest decisivi alle elezioni presidenziali potrebbe essere niente al confronto di quella dei lavoratori nel settore dei servizi che assistono all’automazione dei loro posti.
Altre questioni richiedono soluzioni politiche. Se un’azienda investe nella tecnologia, che può svalutarsi, riceve più benefici fiscali che se investe nella manodopera umana. Eliminare l’ammortamento per attrezzature come software o robot potrebbe ridurre questo divario.
Come ha detto alla camera Acemoğlu “la Silicon valley ha un sistema particolare, incentrato sull’uso di algoritmi per sostituire gli esseri umani. Non è un caso se aziende come Google danno lavoro a meno di un decimo delle persone che un tempo lavoravano per la General Motors”. Il modello dei colossi tecnologici ruota attorno alla necessità di liberarsi della manodopera e di trasformare il comportamento umano in materia prima. Questo modello sarà sottoposto a pressioni sempre più forti nel 2022, mentre Washington cerca di portare avanti leggi per limitare il potere delle piattaforme tecnologiche prima delle elezioni di metà mandato a novembre. Ma la domanda più urgente resta senza risposta: in che modo ricollegare le fortune del capitale e del lavoro nella prossima era dell’automazione di massa? ◆ gim
Rana Foroohar
è una giornalista statunitense esperta di economia. Collabora con il canale televisivo Cnn ed è opinionista del Financial Times, il giornale che ha pubblicato questo articolo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 41. Compra questo numero | Abbonati