Chi è schierato al fianco dell’Ucraina guarda con preoccupazione alla stanchezza dell’occidente: con il protrarsi della guerra, i paesi che sostengono Kiev si stancheranno gradualmente dello stato d’emergenza permanente e dei sacrifici richiesti? La stanchezza non è dovuta solo a questioni economiche o materiali. È anche il risultato di una propaganda congiunta di estrema destra ed estrema sinistra, che opera su tre livelli: un pacifismo astratto (“abbiamo bisogno della pace a ogni costo”); un punto di vista apparentemente equilibrato (“l’espansione verso est della Nato ha provocato la Russia costringendola a contrattaccare”); e il bisogno di proteggere il nostro benessere nazionale (“perché dovremmo dare miliardi all’Ucraina, un paese governato da oligarchi corrotti, quando abbiamo anche noi problemi economici?”). Il paradosso è che dietro un’apparente posizione di principio a favore della pace a tutti i costi si nasconde un egotismo etnico della peggior specie e un’ignoranza delle sofferenze altrui: ci rendiamo conto del fatto che, pur avendo difeso la sua indipendenza, l’Ucraina ha già perso circa un terzo della sua popolazione tra persone uccise, rapite ed emigrate?
Un problema più grave riguarda però l’Ucraina stessa, dove si registrano segnali di stanchezza. È già un miracolo che la maggior parte della popolazione continui a lottare dopo un anno e mezzo di combattimenti di cui non s’intravede la fine. Ma non è solo il peso della guerra a essere spossante: la stanchezza è alimentata anche da errori ideologici e politici commessi dagli stessi ucraini. Quello che potrebbero e dovrebbero fare è chiaro: il rimedio alla stanchezza provocata dalla guerra è la giustizia nel paese, cioè niente privilegi per gli oligarchi e per le élite. C’è forse una cosa più demoralizzante che vedere la gente comune combattere mentre molti ricchi hanno lasciato il paese e hanno fatto in modo che i loro figli fossero esentati dal servizio militare? Un buon segnale in questo senso è stato il discorso del presidente Volodymyr Zelenskyj del 25 luglio in cui, scrive il Financial Times, ha “avvertito i funzionari del governo e i deputati che ‘arricchimento personale’ e ‘tradimento’ non saranno tollerati, dopo che un responsabile di un ufficio di leva accusato di appropriazione indebita e un parlamentare sospettato di aver collaborato con la Russia sono stati arrestati”. Il militare fermato è Yevhen Borysov, responsabile dell’ufficio di leva di Odessa, che avrebbe incassato illegalmente più di 4,5 milioni di euro.
Il paese deve combattere su due fronti: contro l’aggressione russa e per cosa vuole diventare dopo il conflitto. Sarà uno stato nazionalista, una colonia capitalista o altro?
L’esigenza di contrastare la corruzione è abbastanza ovvia, ma c’è un’altra questione importante. Per evitare un tracollo, occorre un fronte unito contro il nemico comune. Oggi ci sono segnali preoccupanti di un fenomeno emergente. In Ucraina molte persone di sinistra non nazionaliste sono pronte a lottare contro Mosca e agiscono in prima linea al fronte. Ma poiché si oppongono al nazionalismo aggressivo di stampo conservatore e alle sue misure controproducenti, come il divieto di eseguire in pubblico le opere dei compositori russi, sono spesso sospettate di simpatie filorusse, come se Vladimir Putin, eroe della destra europea e statunitense, fosse una bandiera del socialismo. A marzo del 2022 il documentarista ucraino Sergej Loznitsa, regista di film acclamati a livello internazionale come Maidan e Donbass, è stato espulso dall’Accademia ucraina del cinema per essersi opposto al boicottaggio dei film russi. Ora vive in Lituania e non può tornare nel suo paese: non avendo ancora compiuto sessant’anni (il limite di età per la chiamata alle armi), se tornasse gli verrebbe confiscato il passaporto. Altri artisti noti a livello internazionale sono liberi di viaggiare, perciò il caso di Loznitsa è una vendetta di burocrati conservatori.
In Ucraina molte donne si sono unite alle forze armate e combattono al fronte. Purtroppo, come scrive il Guardian, oggi molte “sono arrabbiate per lo stigma e il trattamento che subiscono dai colleghi uomini e le loro proteste sono ignorate”. Queste donne devono combattere su due fronti, contro il nemico russo e contro le molestie dei colleghi. La situazione si potrebbe generalizzare: l’Ucraina deve combattere su due fronti, contro l’aggressione di Mosca e per il tipo di paese che vuole diventare dopo la guerra. Se sopravvivrà, sarà un paese nazionalista come la Polonia o l’Ungheria? Sarà una colonia del capitalismo globale o qualcos’altro?
È sbagliato sostenere che di tutto questo si dovrebbe discutere dopo la fine del conflitto. Come per ogni guerra di resistenza, dalla rivoluzione francese alla lotta dei partigiani nella seconda guerra mondiale, sono proprio le circostanze del combattimento a determinare la sostanza politica di una nazione. Solo un fronte popolare in cui ci sia posto per tutti, dalle persone lgbt+ alla sinistra che condanna l’aggressione russa, può salvare l’Ucraina. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati