Chi l’avrebbe detto, solo qualche settimana fa, che il successo elettorale del premier Viktor Orbán alle elezioni legislative del 3 aprile 2022 sarebbe stato messo in pericolo da un evento imprevisto della politica mondiale? Eppure è andata così. La tendenza ad abbracciare le cause perse può suscitare simpatia nelle persone comuni, ma per i leader politici accompagnarsi con un tiranno improvvisamente diventato un paria globale – com’è oggi Vladimir Putin – è molto rischioso.
Orbán, e con lui molti esperti di politiche di sicurezza, hanno ampiamente sopravvalutato il valore dell’esercito russo. Il premier ungherese è caduto vittima di quest’abbaglio anche perché non immaginava che il mondo occidentale si mobilitasse compatto contro la Russia, colpevole dell’invasione dell’Ucraina. I tentativi di Mosca di indebolire la coesione dell’Unione europea si sono rivelati vani. Uno dopo l’altro, i leader di estrema destra per anni foraggiati dal presidente russo stanno rinnegando pubblicamente il loro vecchio benefattore. Avere rapporti con il Cremlino oggi non va di moda.
Eppure Orbán sembra fare storia a sé. I suoi vecchi compagni sovranisti (i primi ministri di Slovenia, Repubblica Ceca e Polonia) si sono avventurati a Kiev per manifestare solidarietà agli ucraini. Orbán non si è unito a loro. E la macchina della propaganda ungherese fa ancora eco in modo non troppo velato alle bugie di Mosca, mentre gli opinionisti di estrema destra cercano di giustificare le azioni di Putin. Il risultato è il completo isolamento di Budapest, perfino nell’area centro-europea, ormai spaventata dall’aggressività russa. Ottant’anni fa l’Ungheria fu l’ultimo vassallo di un criminale di guerra destinato alla sconfitta, Adolf Hitler. Quindi nulla di nuovo sotto il sole.
Ma in che modo gli eventi in Ucraina possono ridurre le probabilità di vittoria della coalizione tra Fidesz e il Partito popolare cristiano democratico (Kdnp)? Viktor Orbán ha investito non poche energie per indebolire quelli che un tempo erano i suoi rivali a destra. Ma l’aggressione russa e l’ondata di profughi che ne è scaturita hanno creato confusione all’interno del blocco elettorale che sostiene il suo partito.
◆ Il 3 aprile 2022 in Ungheria si terranno le elezioni legislative. In testa, con il 50 per cento delle intenzioni di voto c’è Fidesz, il partito nazionalista e di estrema destra del primo ministro Viktor Orbán, che insegue il suo quarto mandato consecutivo (guida il governo dal 2010). Stavolta, però, Orbán sembra avere un rivale temibile, il conservatore moderato Péter Márky-Zay. La coalizione che lo sostiene, Uniti per l’Ungheria, che per la prima volta raggruppa quasi tutti i partiti d’opposizione (dalla destra di Jobbik al Partito socialista, passando per i Verdi, il movimento Momentum, Dialogo per l’Ungheria e la Coalizione democratica), è al 45 per cento dei consensi.
◆ Negli ultimi anni l’Ungheria si è scontrata più volte con l’Unione europea sui temi dell’accoglienza dei migranti, del rispetto dello stato di diritto e dei valori fondanti dell’Unione, e sulla libertà di stampa. Bbc
Da leader di un paese della Nato, Orbán si è dovuto unire, forse controvoglia, alla condanna dell’operato di Mosca, ma sta comunque continuando a ostacolare come può l’invio di aiuti militari agli ucraini. Dopo dodici anni di propaganda filorussa, nemmeno i suoi sostenitori sanno come giudicare quest’ennesimo voltafaccia. Ormai solo i più fanatici credono alle accuse di Orbán secondo cui il candidato dell’opposizione unita, Péter Márki-Zay, è un guerrafondaio.
Ad accrescere la confusione tra gli elettori di Fidesz c’è poi l’arrivo di centinaia di migliaia di profughi. Orbán ha speso anni a cercare di soffocare il sentimento di solidarietà degli ungheresi. Il risultato della sua battaglia è che oggi in Ungheria milioni di persone considerano i migranti una minaccia per la loro cultura, il loro lavoro e per le donne ungheresi. L’accoglienza dei profughi ucraini rischia di tenere lontani dalle urne il prossimo 3 aprile proprio questi elettori radicali, che determinarono la vittoria di Fidesz nel 2018. ◆ at
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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati