È un po’ la storia dell’uovo e della gallina: nella Repubblica Centrafricana servono le elezioni per ristabilire la pace, oppure bisogna aspettare che torni la calma per indirle?
Dopo due anni di un governo di transizione caotico, oggi ormai allo stremo, si pensa che la Repubblica Centrafricana entro la fine dell’anno organizzerà un referendum costituzionale e il primo turno di elezioni presidenziali e legislative, con l’obiettivo di chiudere formalmente la fase di transizione e rimettere in carreggiata il paese.
Negli ultimi mesi queste scadenze sono state rinviate più volte, a causa della persistente instabilità del paese. Sembravano nuovamente in forse dopo un’improvvisa ondata di violenze scoppiata a fine settembre a Bangui tra miliziani anti-balaka, per lo più cristiani, e gruppi di autodifesa musulmani. E sembra che la settimana scorsa fossero sul punto di divampare diversi focolai anche nella capitale.
Ormai estenuata dall’interminabile e deprimente feuilleton centrafricano, la comunità internazionale, Francia in testa, preme per fare queste elezioni, che vede come una tappa indispensabile per uscire dalla crisi.
Al voto entro il 2015
“A un certo punto, si dovrà arrivare alle elezioni. Si procede a tappe forzate, è molto rischioso per la sicurezza del paese ritardare all’infinito questo appuntamento”, ha ribadito lo scorso fine settimana a Bangui Annick Girardin, segretaria di stato francese allo sviluppo e alla francofonia. “Il tasso di elettori iscritti dimostra la volontà dei centrafricani di andare alle urne”. E ha aggiunto: “In seguito questo ci consentirà di mobilitare meglio gli aiuti internazionali.
Il referendum e il primo turno di elezioni si terranno sicuramente “prima della fine del 2015”, ha voluto rassicurare alla fine di ottobre la presidente Catherine Samba-Panza, sotto la pressione amichevole ma evidente della Francia. “Resta da fissare la data precisa”, e il secondo turno sarà a inizio 2016, per essere “realisti”, ha poi aggiunto.
Del resto, l’ultima ondata di violenze è “molto preoccupante”, ammettono le autorità centrafricane e frances, secondo le quali tali incidenti derivano da un evidente tentativo di destabilizzare la transizione. Sono stati commessi tanto dagli anti-balaka quanto dai Séléka, ma anche da “certi politici”, accusa Samba-Panza. “Si tratta di azioni manovrate a distanza da un manipolo di individui perfettamente identificabili”, assicura una fonte ben informata.
I quartieri di Bangui pullulano di armi, le granate costano meno delle banane, dicono alcuni con una battuta
Ogni mattina, nei quartieri della capitale si ritrovano cadaveri abbandonati, perché in questo modo si vuole sobillare la popolazione e alimentare il ciclo infernale delle rappresaglie tra le varie comunità. Gli anti-balaka, calati in motorino dal loro feudo di Boy-Rabe (il quartiere nord della capitale) con le armi nascoste negli zainetti, prendono di mira dei musulmani isolati attorno al quartiere centrale PK-5, la loro ultima enclave in città.
Questi miliziani sono perlopiù dei fedelissimi dell’ex presidente François Bozizé, che è stato interdetto dal partecipare alle prossime consultazioni. Dal canto loro, anche i gruppi di autodifesa musulmani si abbandonano alle estorsioni, anche se hanno un impatto minore.
Dunque gli abitanti della capitale si pongono continuamente la stessa domanda: che cosa stanno facendo le forze internazionali? Erano intervenute in ritardo già quando erano scoppiati i disordini a fine settembre, con grande gioia da parte dei saccheggiatori.
C’è anche la criminalità comune, che è fuori controllo e avvelena sempre di più la quotidianità. “Non si può uscire senza rischiare di essere derubati, anche in pieno giorno”, denuncia Evrard Bondade, dell’Osservatorio centrafricano dei diritti dell’uomo (Ocdh).
I quartieri pullulano di armi, le granate costano meno delle banane, dicono alcuni con una battuta. Secondo l’Ocdh e altre organizzazioni della società civile, è dunque prioritario avviare un’operazione di disarmo.
“Nelle condizioni attuali, avremo delle elezioni affrettate e disorganizzate, con nuove istituzioni scelte malamente. Il che ci porterà dritti dritti nel caos”, è la previsione di Bondade.
Del resto, sul disarmo, rimasto lettera morta, la transizione “si è persa completamente per strada”, ha ricordato di recente il think tank Gruppo di crisi internazionale (Icg), ritenendo che “non si potranno rispettare le scadenze previste”.
“È ormai fuori discussione fare marcia indietro”, taglia corto Girardin. “L’aspetto finanziario delle elezioni è chiuso, mentre per quello tecnico i centrafricani, col nostro appoggio e quello delle Nazioni Unite, sono quasi pronti”, sostiene la politica francese, in maniera forse un po’ affrettata, dato il carico logistico da affrontare.
“Resta problematico il capitolo sicurezza”, ammette la segretaria, che nel suo discorso non dissimula “qualche preoccupazione” per la visita di papa Francesco prevista per la fine di novembre.
(Traduzione di Alessandro de Lachenal)
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