Venerdì 24 giugno, il Regno Unito ha scelto di mettere fine a quarantatré anni d’appartenenza all’Unione europea. Adesso non resta che organizzare il “divorzio”.
Cosa dicono i trattati europei?
La procedura di separazione esiste nei trattati europei: è stata aggiunta al trattato di Lisbona, ratificato nel 2009. L’articolo 50 stabilisce che “ogni stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali”. Finora nessun paese ha fatto ricorso a questo articolo.
Chi deve fare il primo passo?
È il governo britannico che deve innescare la procedura e chiedere l’attivazione dell’articolo 50 al Consiglio europeo. Non ci sono vincoli temporali, ma il momento ideale potrebbe essere il vertice del 28-29 giugno a Bruxelles. A quel punto il Consiglio europeo dovrà decidere chi rappresenterà nei negoziati gli interessi dei 27 stati ancora nell’Unione. Potrebbe essere una task force del consiglio stesso o la Commissione europea.
Il Regno Unito uscirà immediatamente dall’Unione europea?
Finché la separazione non sarà definitiva il Regno Unito resta uno degli stati membri dell’Unione. I suoi ministri potranno partecipare ai consigli dei ministri, a meno che le riunioni non riguardino le modalità di separazione. Gli eurodeputati britannici continueranno a partecipare ai lavori del parlamento di Strasburgo. E teoricamente anche il commissario per la stabilità finanziaria, il britannico Jonathan Hill, potrà conservare il suo posto.
Il Regno Unito presiederà l’Unione come previsto, nel secondo trimestre del 2017?
È difficile immaginare che Londra voglia assumersi quest’onere.
Quali sono i tempi previsti per completare la procedura di divorzio?
Sempre in virtù dell’articolo 50 del trattato di Lisbona le parti hanno due anni di tempo per mettersi d’accordo e rompere il vincolo. Secondo i più ottimisti le discussioni potrebbero concludersi in meno di un anno. Secondo altri uno scenario di questo genere è semplicemente impossibile.
Concretamente bisogna sciogliere i nodi di migliaia di legislazioni comuni. Per evitare falle giuridiche, il Regno Unito dovrà annullare i regolamenti dell’Ue con applicazione immediata nei paesi membri e rimpiazzarli con altri testi di legge, nazionali. Il Regno Unito dovrà anche dotarsi di agenzie di controllo nazionali visto che non sarà più sottomessa alle decisioni della trentina di agenzie che agiscono in nome della Commissione. A loro volta i 27 stati rimasti nell’Unione dovranno negoziare la fine della contribuzione dei britannici al bilancio dell’Ue (12,9 miliardi di euro nel 2015) e del versamento dei fondi europei a Londra (5,8 miliardi).
Che succederà ai circa 1.500 funzionari delle istituzioni comunitarie di nazionalità britannica?
Le istituzioni potranno licenziarli perché i funzionari devono necessariamente essere originari di uno stato membro. I loro sindacati sperano tuttavia che si troverà qualche forma di accordo per salvare il posto di chi vorrà conservarlo.
Come si ridefiniranno le future relazioni tra Regno Unito e Unione europea?
Dopo la separazione, per il Regno Unito, che a quel punto sarà considerato come un paese terzo l’urgenza principale sarà di costruire nuove relazioni con l’Unione.
“Le aziende di servizi e le industrie britanniche perderanno il loro accesso privilegiato al mercato comunitari. Dovranno pagare i dazi doganali per intero mentre le banche perderanno il loro passaporto europeo che finora gli ha consentito di operare ovunque nell’Unione”, spiega il giurista Jean-Claude Piris.
Resta da vedere se Londra punterà su un semplice accordo di libero scambio o su uno che mescoli componenti commerciali e politiche, come quelli per i rapporti commerciali con la Svizzera o la Norvegia. Tutti questi negoziati potrebbero durare anni.
C’è poi la questione degli accordi che l’Unione ha con i paesi asiatici, latinoamericani o africani. Il Regno Unito dovrà rinegoziarli tutti.
Infine, i 27 stati rimasti dovranno provare a dare rassicurazioni sulla solidità della stessa Unione. Deve passare l’idea che “l’unione fa la forza”, anche senza Londra.
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