Recita un vecchio adagio che non ci sia niente di nuovo sotto il sole. Ma alcuni potrebbero sorprendersi scoprendo che gli essere umani non sono le uniche creature ad aver inventato i vaccini. Uno studio appena pubblicato sul Journal of Experimental Biology da Gyan Harwood dell’Università dell’Illinois, Urbana-Champaign, conferma che le api da miele ci sono arrivate prima di noi. Suggerisce inoltre che queste portino avanti operazioni analoghe ai programmi di vaccinazione dell’infanzia di tipo prime-boost (cioè “a doppia vaccinazione”, in cui la prima attiva la risposta immunitaria, la seconda la rafforza).
Essendo gregarie, le api da miele rischiano costantemente che nei loro alveari si diffondano delle malattie. La maggior parte degli animali che vivono in condizioni affollate possiede un robusto sistema immunitario. Per questo gli entomologi si sono a lungo interrogati sul perché lo stesso non accada alle api da miele, che effettivamente possiedono meno geni che modulano il sistema immunitario della maggior parte delle api solitarie.
L’antigene dell’ape regina
Parte della risposta, emersa nel 2015, è che le api regine vaccinano le loro uova trasferendo in esse, prima che queste siano deposte, frammenti di proteine provenienti da agenti patogeni che causano malattie.
Queste proteine agiscono come antigeni che scatenano lo sviluppo di una risposta immunitaria protettiva negli esemplari in sviluppo. Ma questa osservazione ha portato a chiedersi come la regina riceva, tanto per cominciare, la sua fornitura di antigeni, poiché essa si ciba unicamente di pappa reale, una sostanza prodotta dalle api operaie che si trovano in una fase della loro vita (precedente al periodo che trascorrono volando in libertà per procurarsi nettare e polline) in cui nutrono le larve. Il dottor Harwood si è quindi chiesto se queste api nutrici incorporino, nella pappa reale che producono, frammenti degli agenti patogeni contenuti nelle provviste portate nell’alveare dalle api uscite a procurasi il nutrimento.
Per mettere alla prova la sua idea, si è associato a un gruppo dell’università di Helsinki, in Finlandia, guidato da Heli Salmela. Insieme hanno raccolto circa 150 api nutrici, dividendole in sei minialveari senza ape regina, in cui erano presenti covate di larve da accudire. Invece che il nettare, hanno dato alle api nutrici acqua e zucchero, e in tre di questi alveari hanno “corretto” questo sciroppo con Paenibacillus larvae, un bacillo che causa una malattia mortale per gli alveari, chiamata peste americana.
Probabile che le api nutrici trasmettano l’antigene all’ape regina attraverso la pappa reale
In questo caso, per evitare un’infezione del genere, il dottor Harwood e la dottoressa Salmela hanno sottoposto preventivamente a calore, uccidendoli, gli agenti patogeni. Hanno anche applicato sui batteri morti una tintura fluorescente, perché fosse più facile tracciare i loro successivi destini. E, naturalmente, i microscopi fluorescenti hanno confermato che frammenti di Paenibacillus larvae entravano nella pappa reale, prodotti da quelle api che erano state alimentate con acqua e zucchero “corretti”. Inoltre, l’esame di questa pappa reale ha rivelato livelli elevati – rispetto a quella proveniente da api che non erano state nutrite con Paenibacillus larvae – di un peptide antimicrobico noto come defensin-1. Si ritiene che questa sostanza aiuti i sistemi immunitari a tenere a distanza le infezioni batteriche.
Complessivamente queste scoperte suggeriscono che le api nutrici trasmettano effettivamente, tramite la loro pappa reale, gli antigeni all’ape regina che poi le inocula nelle sue uova. Questo significa inoltre – dal momento che anche le larve ricevono pappa reale nei primi giorni dopo essere uscite dalle uova – che le api nutrici inoculano anche le larve.
Ogni ape neonata risulta quindi vaccinata due volte. Resta da capire se si tratti semplicemente di un approccio belt-and-braces (di una doppia precauzione), o sia in realtà l’equivalente della vaccinazione prime-boost per gli esseri umani, in cui la seconda vaccinazione moltiplica gli effetti della prima. Ma qualunque sia la verità, sembra offrire una protezione. Non tanto immunità di gregge, quanto di sciame.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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