La vittoria di Donald Trump alle primarie del New Hampshire, che gli ha spianato la strada verso la nomination del Partito repubblicano, ha confermato una cosa di cui si è accorto da tempo chi si occupa di Stati Uniti: la politica elettorale americana sta diventando noiosa. C’è stato un momento di effervescenza, l’ultimo, quando i sondaggi hanno mostrato l’ascesa di Ron DeSantis, tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Sembrava l’ultimo segnale di quella vitalità che periodicamente permette a figure nuove e dirompenti di imporsi sulla scena nazionale (Ronald Reagan nel 1980, Bill Clinton nel 1992, Barack Obama nel 2008, Donald Trump nel 2016).

È durato pochissimo, il tempo di rendersi conto che la candidatura di DeSantis non era nuova né dirompente. Così da più di un anno gli statunitensi danno per scontato che le presidenziali del 2024 saranno una ripetizione di quelle del 2020, una sfida tra due politici che tutti conoscono e su cui tutti hanno già un’opinione.

Questa staticità è un problema prima di tutto per i mezzi d’informazione, che perdono spettatori e lettori, e di conseguenza pubblicità e soldi. Se ne è occupato qualche giorno fa Max Tani su Semafor. Seguendo le primarie in New Hampshire, Tani si è accorto che c’erano meno giornalisti del solito e che molti eventi elettorali si svolgevano stancamente, senza il fermento che c’è generalmente in questa fase delle primarie.

“Giovedì Nikki Haley, l’unica sfidante di Trump, ha cominciato un evento con dieci minuti di anticipo e se n’è andata tre minuti dopo l’inizio previsto, mentre alcuni giornalisti stavano ancora arrivando. Non aveva altri eventi in programma fino a un incontro con gli elettori in tarda serata, trasmesso dalla Cnn”, ha scritto Tani. L’emittente Cbs aveva messo in programma un dibattito tra i candidati repubblicani in Nevada a febbraio, ma lo ha cancellato in autunno temendo – correttamente – che a quel punto la corsa sarebbe già stata decisa.

Nei prossimi mesi i processi di Trump saranno un elemento di imprevedibilità, ma è evidente che nemmeno lui riesce a catturare l’attenzione e a creare interesse come faceva otto anni fa, quando si candidò per la prima volta. In parte è stato lui ad allontanarsi dalle luci dei riflettori, rifiutandosi di partecipare ai dibattiti televisivi con gli altri candidati alle primarie (una strategia che a livello politico ha funzionato) e di tornare su Twitter quando ne ha avuto la possibilità.

Poi è cambiato anche l’approccio di molti mezzi d’informazione, dopo anni a ragionare su come gestire un politico così controverso che a un certo punto è diventato anche pericoloso. Ha scritto McKay Coppins sull’Atlantic: “Le principali reti televisive via cavo non trasmettono i suoi discorsi in diretta come facevano un tempo, per paura di essere accusate di amplificare le sue bugie. In questi giorni, Trump esiste nella mente di molti americani come una sagoma nebulosa – formata da nozioni preconcette e impressioni obsolete – invece che come una persona reale che ogni giorno dice al paese chi è e cosa vorrebbe fare in un secondo mandato”.

Ma forse la ragione principale del calo di interesse è che anche Trump è diventato noioso. Scrive Tani: “Somiglia a quelle vecchie rock band che vanno in tour con un nuovo album: provano qualcosa del nuovo repertorio, ma per lo più si limitano a suonare i successi che il pubblico conosce. Il comizio che ha organizzato il 19 gennaio a Concord, in New Hampshire, aveva tutti gli elementi dei suoi eventi degli ultimi otto anni: ha attaccato po’ gli avversari repubblicani, ormai senza speranze; ha recriminato sul Russiagate, l’inchiesta del 2016 sui suoi rapporti con la Russia; ha letto il testo di The snake, canzone tormentone della sua campagna elettorale del 2016; ha invocato la pena di morte per le persone condannate per spaccio di droga. Un sostenitore cantava “Build the wall”, costruiamo il muro, altri urlavano “Lock her up”, arrestatela (slogan un tempo dedicato a Hillary Clinton, oggi alla vicepresidente Kamala Harris). Se non fosse per i riferimenti alle elezioni del 2020 e ai processi in corso, sarebbe difficile dire in che anno ci troviamo”.

Gli indici d’ascolto e di lettura confermano la diminuzione dell’attenzione. Il traffico di notizie politiche sui siti è in calo rispetto alle primarie presidenziali del 2020 e del 2016. Gli ascolti televisivi per i caucus dell’Iowa sono stati pessimi. Non si è salvata neanche Fox News, l’emittente di destra che in pratica ha lanciato la carriera politica di Trump. Questa stanchezza potrebbe essere un problema soprattutto per i democratici, che sperano in una campagna elettorale concentrata sull’ex presidente, in modo da nascondere i punti deboli di Biden e per poter inquadrare l’elezione come una scelta tra la difesa della democrazia e il rischio di una svolta autoritaria.

Il distacco di una parte importante dell’opinione pubblica dalla politica nazionale sembra andare oltre l’attuale ciclo elettorale. Un fattore riguarda l’aumento dell’età media dei politici, che blocca il ricambio generazionale e accentua la sensazione di un sistema poco dinamico. Si è parlato molto dell’età di Biden (81) e Trump (77), che sono stati già i due presidenti più anziani della storia degli Stati Uniti e che ora si affrontano di nuovo. Ma la questione anagrafica riguarda tutta la classe politica a livello federale.

Sulla New York Review of Books Fintan O’Toole ha scritto che gli Stati Uniti somigliano sempre di più a una gerontocrazia. “Nel 2014 hanno eletto il congresso più vecchio della loro storia. Il record non è durato a lungo: è stato battuto nel 2016. E poi ancora nel 2018. E ancora nel 2020, quando – cosa straordinaria – la maggior parte dei membri in carica che hanno perso il seggio è stata sostituita da qualcuno ancora più anziano. Nelle elezioni di metà mandato del 2022 la camera è diventata leggermente più giovane (l’età media dei rappresentanti è scesa di un anno, da cinquantanove a cinquantotto), ma l’età media dei senatori ha continuato a salire e ora supera i sessantacinque anni. L’età media dei rappresentanti del parlamento europeo eletti nel 2019 è di cinquant’anni. In Canada l’età media della camera dei comuni è di cinquantadue anni. Nel parlamento australiano è di cinquantuno anni”. Secondo i sondaggi, il 79 per cento degli americani è favorevole a limiti massimi di età per i funzionari eletti a Washington e il 74 per cento lo è per i giudici della corte suprema.

Un altro fattore riguarda un sistema politico che molte persone considerano troppo rigido, perché costringe a scegliere tra due partiti e può soffocare potenziali alternative politiche. Negli ultimi anni è cresciuto il numero di elettori che hanno un’opinione negativa sui partiti, e di conseguenza è aumentata – soprattutto tra chi ha meno di trent’anni e tende a votare per i democratici – la quota di chi vorrebbe una maggiore possibilità di scelta.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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