Durante tutti i colloqui di pace a cui ha partecipato nell’isola filippina di Mindanao, Joji Felicitas Pantoja serviva il caffè per mettere a loro agio le persone. Pantoja però ha capito che parlare di pace non era sufficiente se non si riusciva a rispondere alle necessità fondamentali come l’alimentazione e la salute, e così ha avuto l’idea di usare il caffè come veicolo di cambiamento. Lanciando Coffee for peace, Pantoja ha lavorato insieme agli agricoltori di Mindanao per rivitalizzare un settore sostituito da monocolture come l’albero da gomma e le banane, e i guadagni dei soc sono triplicati.
“Pace non significa solo assenza di guerra. Se non ci occupiamo dell’aspetto economico, il processo non è completo”, ha spiegato Pantoja, 56 anni, che si definisce una costruttrice di pace.
In tutta l’Asia donne come Pantoja affrontano i problemi della società attraverso una prospettiva di impresa, conquistando un ruolo di maggiore rilievo rispetto alle donne di altre regioni e riuscendo a influenzare i mercati e contrastare la povertà e altri problemi sociali. È quanto conclude il primo sondaggio sui paesi migliori per l’imprenditoria con finalità sociali.
Un contesto più equo
Dal sondaggio promosso dalla Thomas Reuters Foundation sulle 45 più importanti economie del mondo è emerso che le Filippine sono il paese in cui le donne registrano risultati migliori in quanto a presenza nei vertici delle imprese sociali e riguardo alla parità di salario rispetto agli uomini. In Asia si trovano altri cinque paesi tra i primi dieci emersi dal sondaggio, per il quale sono stati intervistati quasi 900 esperti: Malesia, Cina, Hong Kong, Indonesia e Thailandia.
Russia, Norvegia e Canada completano la decina, mentre il Brasile si è classificato all’ultimo posto e gli Stati Uniti hanno ottenuto una valutazione negativa nel sondaggio, perché è diffusa la percezione che le donne siano pagate meno degli uomini. Secondo le donne intervistate in tutta l’Asia, un contesto più equo e una maggiore propensione a porre la solidarietà al di sopra del valore economico sono le ragioni principali per cui le donne se la cavano così bene come imprenditrici sociali.
Gli uomini vogliono essere come Mark Zuckerberg, mentre le donne vogliono lavorare a beneficio della comunità
Il sondaggio, condotto tra il 9 giugno e il 15 luglio in partnership con Deutsche Bank, Global social entrepreneurship network (Gsen) e UnLtd, fondazioni a sostegno di imprenditori sociali, ha rilevato che secondo il 68 per cento degli esperti le donne sono ben rappresentate ai vertici delle imprese sociali. Allo stesso tempo, da uno studio condotto da Deloitte nel 2015 è emerso che le donne occupano solo il 12 per cento dei posti nei consigli di amministrazione in tutto il mondo, mentre i dati dell’Unione interparlamentare mostrano come le donne rappresentino il 23 per cento circa dei membri di tutti i parlamenti nazionali.
Tuttavia, solo il 48 per cento degli esperti ritiene che le donne impegnate nelle imprese sociali siano pagate quanto gli uomini, un argomento che solleva preoccupazioni soprattutto negli Stati Uniti.
“Mentre gli uomini vogliono essere come Mark Zuckerberg, le donne vogliono lavorare per portare benefici alla comunità”, dice Peetachai “Neil” Dejkraisak, che ha fondato con una collega della facoltà di economia la Siam organic, un’impresa sociale nel settore del riso. “Le donne sono più solidali e desiderano una vita impegnata… Gli imprenditori sociali sono per natura spronati a migliorare le vite delle persone, sottraendole alla povertà. E questo le imprenditrici sociali lo fanno meglio delle loro controparti maschili”.
Neil e Pornthida “Palmmy” Wonghatharakul hanno cominciato a lavorare alla Siam organic mentre studiavano economia, e nei loro programmi iniziali non era prevista la creazione di un’impresa che potesse migliorare la società. “L’impatto sociale era insito nel modello di impresa: più gli affari andavano bene, maggiore era l’impatto per l’agricoltore”, afferma Palmmy.
In uno scenario in cui i coltivatori di riso tailandesi guadagnano circa 12 dollari al mese, i due hanno deciso di orientarsi verso il mercato e le innovazioni degli Stati Uniti – in particolare con il riso biologico rosso, ricco di antiossidanti – per accrescere i guadagni degli agricoltori e conquistare clienti attenti alla loro salute.
L’azienda oggi lavora con mille coltivatori e nel 2015 ha venduto circa cento tonnellate del tipo di riso in cui si è specializzata a compratori tailandesi e statunitensi, e i suoi coltivatori guadagnano in media 180 dollari al mese per ogni mezzo ettaro coltivato. “Il mio obiettivo è aiutare i coltivatori, come ho promesso di fare. Quando si tratta di prendere una decisione, i coltivatori vengono prima di tutto”, dice Palmmy, che ha 31 anni.
L’istruzione è fondamentale
L’ex domestica indonesiana Heni Sri Sundani, 29 anni, non avrebbe mai immaginato di diventare un’imprenditrice sociale, usando l’istruzione per migliorare le condizioni di bambini e famiglie nei villaggi indonesiani.
Nata in una famiglia di contadini, nel 2005 è andata a lavorare come domestica a Hong Kong per aiutare la sua famiglia, ma ha scoperto che la sua agenzia di collocamento si era tenuta metà del suo salario. Questo l’ha spronata a usare tutto il suo tempo libero per studiare e laurearsi in gestione aziendale. Sei anni dopo è tornata a casa con una laurea e ha cominciato a offrire lezioni gratuite con il suo movimento Smart farmer kids in action, che insegna ai ragazzini scienze e tecniche agricole moderne.
L’obiettivo è spingere i bambini a studiare e crescere nei loro villaggi, senza ingrossare le file dei disoccupati nelle metropoli
Quando il movimento è cresciuto, accogliendo più di mille bambini in otto villaggi, ha provato a chiedere un piccolo contributo per coprire le spese, ma la maggior parte dei genitori, che erano contadini, non potevano permetterselo. Perciò ha creato un altro programma comunitario per aiutare gli agricoltori a vendere i loro prodotti su internet e ha introdotto l’ecoturismo, contribuendo ad aumentare le loro entrate e consentendogli di pagare l’istruzione dei figli.
“Speriamo che questi bambini crescano qui e aiutino altri abitanti dei loro villaggi a diventare agricoltori con una solida formazione. Non vogliamo che se ne vadano nelle grandi città per diventare lavoratori sfruttati o finiscano vittime dei trafficanti di esseri umani”, dice Sundani. “Le persone che ho incontrato erano stupite di quello che può fare una donna come me. Tante altre hanno cominciato a unirsi a me perché una donna non è solo una casalinga”, ha detto, spiegando di aver raccolto dei soldi tramite il crowdfunding.
Concorrenza alla pari
Quando faceva la volontaria distribuendo cibo ai senzatetto a Kuala Lumpur, la malese Mastura Rashid ha capito che non bastava dare cibo gratis ai poveri, non era sostenibile. Così ha cominciato a lavorare con le famiglie della città che l’anno scorso hanno guadagnato meno di 250 dollari al mese, vendendo il loro nasi lemak fatto in casa, un piatto tradizionale a base di riso al cocco e gamberi piccanti, nei grattacieli pieni di uffici e alle stazioni di servizio nell’ambito del The nasi lemak project. “Vogliamo aiutare i poveri offrendogli un accesso diretto al mercato. I malesi adorano mangiare, e non c’è prodotto migliore del nasi lemak”, afferma Mastura, che ha 26 anni.
Secondo lei, l’imprenditoria sociale malese è molto competitiva, ma nonostante questo le donne come lei se la giocano alla pari, a differenza di altri settori più tradizionali in cui le donne sono discriminate. Il suo progetto ha ricevuto il sostegno di due agenzie legate al governo create per incoraggiare innovazione e start-up. “Non vedo pregiudizi di genere nell’imprenditoria sociale, presenti forse in politica e nei matrimoni”, ha aggiunto Mastura.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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