Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2001 nel numero 417 di Internazionale.
È passato più di un secolo da quando, nel 1870, la regina vittoria scrisse a sir Theodore Martin lamentando “questa assurda, perfida follia dei ‘Diritti della Donna’”. La formidabile imperatrice non aveva certo bisogno della protezione offerta dal riconoscimento dei diritti delle donne. A ottant’anni, nel 1899, aveva ancora la forza di scrivere ad Arthur James Balfour che “non ci interessano le possibilità di una sconfitta: non ne esistono”. Ma non va sempre così la vita della gente, che spesso si trova sopraffatta e sconfitta da ostacoli e problemi. E all’interno di ogni comunità, nazionalità e classe, il peso delle privazioni di solito ricade soprattutto sulle spalle delle donne.
Il mondo tormentato in cui viviamo è caratterizzato da un enorme squilibrio tra i fardelli sopportati dagli uomini e dalle donne. La diseguaglianza di genere esiste quasi ovunque, dal Giappone al Marocco, dall’Uzbekistan agli Stati Uniti. Eppure la diseguaglianza fra uomini e donne non è ovunque la stessa e può assumere aspetti diversi. La diseguaglianza di genere non è un unico fenomeno omogeneo, ma un insieme di problemi disparati e interconnessi. Io mi limiterò a esaminarne solo alcune forme.
Sessismo high tech
Diseguaglianza nella mortalità. In alcune regioni del mondo la diseguaglianza fra donne e uomini implica questioni di vita e di morte e assume la forma brutale di tassi di mortalità particolarmente alti per le donne e di una conseguente prevalenza maschile sul totale della popolazione. Al contrario, in società con poca o nessuna discriminazione di genere nell’assistenza sanitaria e nell’alimentazione c’è una prevalenza femminile. La diseguaglianza nella mortalità è stata ampiamente osservata e documentata in Nordafrica e in Asia, compresa la Cina e alcune nazioni dell’Asia del sud.
Diseguaglianza nella natalità. Data la preferenza per i maschi che caratterizza molte società dominate dagli uomini, la diseguaglianza di genere può manifestarsi nella volontà dei genitori di scegliere il sesso del nascituro. Un tempo questo poteva essere soltanto un desiderio, un sogno a occhi aperti o un incubo, a seconda dei punti di vista. Ma ora che sono disponibili tecniche avanzate per accertare il genere del feto, in molti paesi si sono diffusi gli aborti selettivi basati sul sesso. È una pratica comune nell’Est asiatico (soprattutto in Cina e Corea del Sud), ma si riscontra anche a Singapore e a Taiwan e sta cominciando a emergere come fenomeno statisticamente significativo in India e in altre regioni dell’Asia del sud. Questo è sessismo high tech.
Diseguaglianza nei servizi di base. Anche quando le caratteristiche demografiche non mostrano un forte pregiudizio antifemminile o non ne mostrano affatto, ci sono altri modi per sottoporre le donne a un trattamento non paritario. L’Afghanistan è forse l’unico paese al mondo dove il governo è stato attivamente impegnato a escludere le bambine dall’istruzione, ma ci sono molti paesi in Asia, Africa e America Latina dove le bambine hanno molte meno opportunità di istruzione dei ragazzi. E nei servizi di base disponibili per le donne – dall’incoraggiamento a coltivare i propri talenti naturali alla partecipazione paritaria alle funzioni sociali della comunità – ci sono altre carenze.
Diseguaglianza nelle opportunità particolari. Anche quando ci sono poche differenze nei servizi di base, istruzione compresa, le opportunità di istruzione universitaria possono essere molto minori per le ragazze. Di fatto, il pregiudizio di genere nell’istruzione superiore e nella formazione professionale si può registrare perfino in alcuni dei paesi più ricchi del mondo, in Europa e in Nordamerica.
Diseguaglianza professionale. Nell’occupazione così come nella carriera, le donne spesso affrontano maggiori difficoltà degli uomini. Un paese come il Giappone può essere abbastanza egualitario in fatto di demografia o servizi di base e in gran misura perfino nell’istruzione universitaria, eppure i progressi verso livelli elevati di occupazione e professionalità sembrano molto più difficili per le donne. Nella serie televisiva inglese Yes, Minister c’è un episodio in cui un ministro, pieno di ardore riformista, cerca di sapere dal suo imperturbabile segretario personale, sir Humphrey, quante donne occupino posizioni di primo piano nel pubblico impiego in Gran Bretagna. Sir Humphrey spiega che è molto difficile indicare un numero esatto e che la cosa richiederebbe lunghe ricerche. Ma il ministro insiste, vuole sapere quante sono all’incirca le donne ai massimi livelli della carriera. E sir Humphrey finalmente replica: “All’incirca nessuna”.
Diseguaglianza nella proprietà. In molte società anche la proprietà può essere profondamente ineguale. Perfino beni fondamentali come la casa e la terra sono divisi in modo asimmetrico. L’assenza del diritto di proprietà può non solo soffocare la voce delle donne ma anche render loro più difficile impegnarsi con successo in attività commerciali, economiche o perfino in alcune attività sociali.
La diseguaglianza nel possesso dei beni è molto diffusa in tutto il mondo, ma la sua gravità può variare secondo le norme locali. In India, per esempio, le leggi tradizionali sull’eredità favorivano nettamente i figli maschi (fino alle riforme del diritto dopo l’indipendenza), ma la comunità dei nair (un’importante casta del Kerala) ha avuto per lungo tempo una linea di eredità matriarcale.
Diseguaglianza domestica. Spesso ci sono sostanziali diseguaglianze nei rapporti di genere all’interno della famiglia o della casa. Anche questo fenomeno può assumere forme diverse. È piuttosto comune in molte società dare per scontato che gli uomini lavorino fuori casa mentre le donne possono farlo se – e solo se – riescono a conciliare l’impiego con i vari doveri domestici, ineliminabili e inegualmente ripartiti. Questa situazione a volte viene definita una “divisione del lavoro“, anche se non è difficile capire perché le donne la considerino piuttosto una “accumulazione del lavoro”.
La portata di questa diseguaglianza implica non solo rapporti ineguali all’interno della famiglia, ma anche conseguenti diseguaglianze nel lavoro e nel riconoscimento del mondo esterno. Inoltre, la persistenza di questo tipo di “divisione” o “accumulazione” del lavoro può avere effetti rilevanti anche sulla conoscenza e sulla comprensione dei diversi tipi di lavoro da parte degli esperti. Ricordo che negli anni Settanta, quando cominciai a lavorare per la prima volta alla diseguaglianza di genere, fui molto colpito dal fatto che il Manuale sulla nutrizione umana dell’Organizzazione mondiale della sanità, presentando il “fabbisogno calorico” per diverse categorie di persone, classificasse il lavoro domestico come “attività sedentaria” che richiede un modestissimo dispendio di energia. Non fui in grado di stabilire con esattezza la fonte di questa preziosa informazione.
Trattamento asimmetrico
È importante prendere atto delle implicazioni delle varie forme di diseguaglianza di genere. Questa varietà fa sì che non esista una panacea universale. Nel tempo, oltretutto, lo stesso paese può passare da una diseguaglianza di genere a un’altra. Più avanti presenterò le prove che l’India, il mio paese, attualmente sta attraversando proprio una trasformazione di questo tipo.
Le diverse forme di diseguaglianza di genere possono causare problemi anche alla vita di uomini e ragazzi, oltre che a quella di donne e bambine. Per capire i diversi aspetti dei danni provocati dalla diseguaglianza di genere, dobbiamo guardare oltre la situazione delle donne ed esaminare i problemi che il trattamento asimmetrico delle donne crea anche per gli uomini. Questi legami causali possono essere molto significativi, e possono variare con le diverse forme di diseguaglianza di genere. Infine, le diseguaglianze di diverso tipo spesso possono alimentarsi reciprocamente, e noi dobbiamo essere consapevoli dei loro collegamenti.
Nel seguito di questo articolo una parte sostanziale della mia analisi empirica sarà dedicata a due delle forme più elementari di diseguaglianza di genere: la diseguaglianza nella mortalità e la diseguaglianza nella natalità. Mi occuperò in particolare della diseguaglianza di genere nell’Asia del sud, il cosiddetto subcontinente indiano.
Ma anche se intendo soffermarmi in particolare sul caso del subcontinente indiano, devo mettere in guardia dall’idea compiaciuta che gli Stati Uniti e l’Europa occidentale siano esenti dal pregiudizio di genere semplicemente perché alcune delle generalizzazioni empiriche che si possono fare per altre regioni del mondo non si applicano all’Occidente. Viste le tante facce della diseguaglianza di genere, molto dipende proprio dalla faccia che prendiamo in esame.
In molte parti del mondo le donne ricevono meno attenzioni e meno assistenza sanitaria degli uomini
Consideriamo il fatto che l’India, insieme al Bangladesh, al Pakistan e allo Sri Lanka, ha avuto delle done alla guida del governo, mentre Stati Uniti e Giappone non ne hanno mai avute (e non sembra molto probabile che possano averne nell’immediato futuro, almeno a quanto mi è dato giudicare). In effetti, nel caso del Bangladesh, dove sia il primo ministro sia il capo dell’opposizione sono donne, potremmo cominciare a chiederci se in quel paese un uomo riuscirebbe a conquistare rapidamente la leadership.
Per citare un’altra prova contro la compiacenza occidentale in questo campo, vorrei ricordare che ho avuto una percentuale molto più alta di colleghe quando ero professore all’università di Delhi – nei lontani anni Sessanta – di quante ne abbia avute negli anni Novanta all’università di Harvard o oggi al Trinity College di Cambridge.
E ancora un altro esempio, di tipo più personale: quando cercavo, qualche anno fa, una prima formulazione del contrasto fra l’importanza strumentale della ricchezza e il valore intrinseco della vita umana, trovai questa idea nelle parole di Maitreyee, un’intellettuale ritratta nelle Upanishad, che risalgono all’Ottavo secolo avanti Cristo. La formulazione classica di questa distinzione, naturalmente, sarebbe arrivata circa quattro secoli dopo con l’Etica di Aristotele, ma è interessante che la prima chiara formulazione del valore della vita sia arrivata da una pensatrice donna in una società che – a tremila anni di distanza – non è stata ancora in grado di superare la differenza di mortalità fra uomini e donne.
Le donne mancanti
Nell’indice della diseguaglianza di mortalità, l’India è agli ultimi posti della classifica insieme al Pakistan e al Bangladesh, e ai nostri giorni anche la diseguaglianza nella natalità sta rapidamente cominciando ad alzare la sua brutta testa nel subcontinente indiano.
Nel grosso del Subcontinente, con poche eccezioni (come lo Sri Lanka e lo Stato del Kerala in India), i tassi di mortalità femminile sono ancora molto più alti di quanto potremmo aspettarci, considerando gli schemi della mortalità maschile (nei rispettivi gruppi di età). Questa forma di diseguaglianza di genere non comporta necessariamente omicidi deliberati, e sarebbe sbagliato cercare di spiegare il fenomeno con i casi di infanticidio femminile di cui si ha notizia in Cina o in India: questi sono avvenimenti terribili ma relativamente rari. Lo svantaggio delle donne nella mortalità dipende piuttosto dalla diffusa indifferenza per la salute, l’alimentazione e altri aspetti della vita delle donne che influenzano la loro sopravvivenza.
A volte si afferma che al mondo ci sono più donne che uomini, perché questa prevalenza si riscontra in Europa e in Nord America, che hanno un rapporto medio tra femmine e maschi intorno all’1,05 (cioè circa 105 donne ogni 100 uomini). Ma non in tutto il mondo le donne superano gli uomini. In realtà nel nostro pianeta ci sono soltanto 98 donne ogni 100 uomini. Questo “deficit ” di donne è particolarmente acuto in Asia e nel Nordafrica. Il numero di femmine ogni 100 maschi nel totale della popolazione è pari a 97 in Egitto e in Iran, 95 in Bangladesh e Turchia, 94 in Cina, 93 in India e Pakistan, e 84 in Arabia Saudita (anche se in quest’ultimo caso il rapporto è sensibilmente abbassato dalla presenza di lavorati immigrati maschi provenienti da altri paesi asiatici).
È stato ampiamente osservato che a pari condizioni di assistenza sanitaria e di alimentazione, le donne hanno tassi di mortalità più bassi degli uomini. Perfino i feti femminili tendono ad avere minori probabilità di aborto rispetto ai feti maschili. In tutto il mondo nascono più maschi (e la percentuale di feti maschili concepiti è più alta dei feti femminili), ma nel corso della vita – man mano che saliamo le diverse fasce di età – la percentuale dei maschi continua a diminuire perché i tassi di mortalità degli uomini sono generalmente più alti. L’abbondanza di donne nelle popolazioni dell’Europa e del Nordamerica è una conseguenza di questa maggiore speranza di vita delle donne nelle diverse fasce di età.
In molte parti del mondo, tuttavia, le donne ricevono meno attenzioni e meno assistenza sanitaria degli uomini, e le bambine in particolare spesso ricevono molte meno cure dei loro coetanei. A causa di questa discriminazione di genere, in quei paesi i tassi di mortalità femminile superano spesso quelli maschili.
Il concetto delle “donne mancanti” è stato sviluppato per dare un’idea dell’enormità del fenomeno dello svantaggio femminile nella mortalità, richiamando l’attenzione sulle donne che mancano all’appello a causa di tassi di mortalità straordinariamente alti rispetto a quelli maschili.
L’esperienza del Kerala
Come si può rovesciare questa tendenza? Alcuni modelli economici tendono a mettere in rapporto l’indifferenza nei confronti dei bisogni delle donne con la loro mancanza di diritti economici. Una delle prime economiste femministe, la danese Ester Boserup, in un suo libro del 1970 che è diventato un classico, Il lavoro delle donne, sosteneva che lo status e la posizione delle donne migliorano con l’indipendenza economica (per esempio ottenuta con un lavoro retribuito). Altri invece sostengono che le bambine vengono trascurate perché le famiglie ottengono un maggiore ritorno economico dai ragazzi.
Secondo me la prima argomentazione è più ampia e promettente perché tiene conto meglio delle considerazioni sociali, al di là dei calcoli sul possibile ritorno economico di crescere un figlio invece di una figlia. Ma qualunque interpretazione si scelga, il lavoro retribuito – specialmente nelle professioni più gratificanti – ha senza dubbio un ruolo importante per migliorare le prospettive di vita di donne e ragazze. E così anche l’alfabetizzazione femminile.
Ma ci sono altri fattori che rafforzano la posizione e la voce delle donne nelle decisioni familiari. L’esperienza dello Stato del Kerala, in India, è molto istruttiva in proposito. Il Kerala si differenzia nettamente da molte altre regioni del paese perché ha poca o nessuna discriminazione di genere nella mortalità. La speranza di vita delle donne del Kerala alla nascita è di oltre 76 anni (contro i 70 degli uomini) e, cosa ancora più significativa, secondo il censimento del 2001 il rapporto tra femmine e maschi nella popolazione del Kerala è di 1,06, un valore molto simile a quello dell’Europa e del Nordamerica. Il Kerala ha 30 milioni di abitanti, perciò è un esempio che riguarda un numero piuttosto alto di persone. Le variabili causali relative ai diritti delle donne hanno probabilmente avuto un loro ruolo, perché il Kerala ha un tasso di alfabetizzazione femminile altissimo (quasi universale nelle fasce di età più giovani) e un accesso molto maggiore delle donne a lavori rispettati e ben retribuiti.
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In Kerala si può constatare anche un altro effetto dell’emancipazione femminile: il calo della fertilità, che è scesa molto in fretta (molto più in fretta, sia detto per inciso, che in Cina, malgrado le misure coercitive adottate dal governo di Pechino per controllare le nascite). Il tasso di fertilità del Kerala è di circa 1,7 (interpretabile approssimativamente come 1,7 figli per coppia), ed è uno dei più bassi del mondo in via di sviluppo, più o meno lo stesso di Gran Bretagna e Francia e molto inferiore a quello degli Stati Uniti. Questi dati ci consentono di vedere l’influenza generale dell’istruzione e dei maggiori diritti della donna.
Ma dobbiamo tener conto anche di altre caratteristiche particolari del Kerala. La proprietà femminile dei beni per una parte influente della popolazione indù (i nair); l’apertura e l’interazione con il mondo esterno (i cristiani rappresentano circa un quinto della popolazione e sono in Kerala da molto più tempo – dal quarto secolo – che in Gran Bretagna, per non parlare dell’antichissima comunità ebraica presente nello Stato); e una politica militante di sinistra con un impegno spiccatamente egualitario che ha mostrato la tendenza a concentrarsi con forza su problemi di equità (non solo fra classi e fra caste, ma anche fra donne e uomini). In Kerala queste influenze forse hanno avuto lo stesso ruolo dell’istruzione e dell’occupazione femminile nel ridurre la diseguaglianza della mortalità, ma potrebbero avere un impatto diverso anche su altri problemi, soprattutto quello della diseguaglianza nella natalità.
Quattro fenomeni
Il problema della discriminazione di genere nella vita e nella morte è stato molto discusso, ma ci sono altri aspetti della diseguaglianza di genere che devono essere studiati di più. Vorrei soffermarmi su quattro importanti fenomeni che si possono osservare spesso in Asia del sud.
In primo luogo, il problema della sottoalimentazione delle bambine rispetto ai maschi. Alla nascita le bambine ovviamente non sono più svantaggiate dei bambini dal punto di vista nutrizionale. Tuttavia questa situazione cambia quando il trattamento diseguale della società ha il sopravvento sulla non discriminazione della natura. Nell’interpretare le cause di questo svantaggio femminile è importante sottolineare che il più basso livello nutrizionale delle bambine potrebbe non essere direttamente collegato a una loro sottoalimentazione rispetto ai maschi. Molto spesso le differenze possono dipendere dalla tendenza a trascurare la salute delle bambine, contrariamente alle attenzioni di cui sono oggetto i maschi.
In effetti esistono alcune informazioni dirette sulla relativa trascuratezza medica riservata alle bambine in Asia del sud. Quando ho studiato, insieme a Jocelyn Kynch, i dati di ricovero di due grandi ospedali pubblici di Bombay, sono stato colpito dalla chiara evidenza del fatto che le bambine ospedalizzate generalmente erano più gravi dei maschi. Il che lascia pensare che una bambina debba trovarsi in condizioni molto peggiori prima di essere portata in ospedale. La sottoalimentazione probabilmente dipende anche da una maggiore incidenza delle malattie, che possono ripercuotersi negativamente sull’assorbimento delle sostanze nutritive e sulle funzioni corporali.
In secondo luogo, nell’Asia del sud si registra una forte incidenza di sottoalimentazione materna. In questa regione del mondo la sottoalimentazione materna è molto più comune che in molte altre zone. Il confronto dell’indice della massa corporea (Bmi), che è sostanzialmente una misura del rapporto tra peso e altezza, lo dimostra in modo piuttosto evidente, e il dato è confermato dalle statistiche relative ad alcune conseguenze tipiche, come per esempio l’incidenza dell’anemia.
In terzo luogo, c’è il problema della diffusione del basso peso alla nascita. Nell’Asia del sud, il 21 per cento dei bambini nasce sottopeso (secondo gli standard medici riconosciuti), una percentuale superiore a quella di qualsiasi altra grande regione del mondo. Per i bambini sudasiatici lo svantaggio del basso peso nell’infanzia sembra cominciare fin dalla nascita. Facendo un rapporto tra peso ed età risulta sottoalimentato il 40-60 per cento circa dei bambini dell’Asia del Sud, contro un dato del 20-40 per cento prevalente perfino nell’Africa subsahariana. I bambini partono e rimangono svantaggiati.
E infine si riscontra anche un’alta incidenza di malattie cardiovascolari, che in Asia del sud è maggiore che in qualsiasi altra regione del Terzo Mondo. Anche se altri paesi, per esempio la Cina, mostrano una maggiore prevalenza dei fattori che predispongono a tali malattie, la popolazione del subcontinente sembra quella con i più gravi problemi di cuore.
Azione consapevole
Non è difficile capire che fra i primi tre di questi problemi con ogni probabilità esiste uno stretto rapporto causale. La scarsa cura nei confronti di donne e bambine, e la discriminazione di genere che si riflette nella loro esistenza, tende a produrre una maggiore sottoalimentazione materna che a sua volta tende a provocare maggiori sofferenze fetali, neonati sottopeso e sottoalimentazione infantile.
Ma come spiegare la maggiore incidenza delle malattie cardiovascolari negli adulti sudasiatici? Per interpretare questo fenomeno possiamo rifarci agli studi sperimentali di un’équipe medica britannica guidata da J.P. Barker. Basandosi sui dati inglesi Barker ha dimostrato che il basso peso alla nascita è strettamente associato, a vari decenni di distanza, a una maggiore incidenza di numerose malattie dell’età adulta, fra cui l’ipertensione, l’intolleranza al glucosio e altre patologie cardiovascolari.
Questi collegamenti biologici illustrano una questione più generale: la diseguaglianza di genere può nuocere non solo agli interessi delle donne ma anche a quelli degli uomini. Di fatto, gli uomini soffrono di malattie cardiovascolari più delle donne. Considerato il ruolo eccezionalmente importante delle donne nel processo riproduttivo, è difficile immaginare che le privazioni a cui sono soggette non abbiano un impatto negativo sulla vita di tutti coloro – uomini e donne, adulti e bambini – che sono “nati da donna”, come dice il Libro di Giobbe. La colpa di avere trascurato il benessere delle donne sembra ricadere violentemente sugli uomini.
Ma ci sono anche altri rapporti fra lo svantaggio delle donne e le condizioni generali della società – rapporti di natura non biologica – che dipendono dall’azione consapevole delle donne. Accrescere le opportunità delle donne non significa soltanto aumentare la loro libertà e il loro benessere, ma ha effetti sulla vita di tutti. La maggiore capacità di azione delle donne può contribuire in modo sostanziale alla vita di tutti, uomini e donne, bambini e adulti: molti studi hanno dimostrato che l’emancipazione della donna fa diminuire la trascuratezza nei confronti dei bambini e la loro mortalità, fa diminuire la fertilità e il sovraffollamento e più in generale contribuisce ad aumentare il benessere sociale.
L’elenco degli esempi potrebbe continuare esaminando l’operato delle donne in altri campi, fra cui l’economia e la politica. In diversi paesi sono stati riscontrati fortissimi collegamenti fra l’attività delle donne e il progresso sociale. Esistono numerose prove che quando l’organizzazione sociale ed economica si allontana dalla prassi tradizionale della proprietà maschile, le donne possono impegnarsi con grande successo in iniziative finanziarie ed economiche. È anche evidente che la partecipazione femminile alla vita economica non ha soltanto l’effetto di generare un reddito per le donne, ma assicura altri vantaggi sociali legati al miglioramento della loro condizione e alla loro indipendenza.
Il maschio preferito
C’è qualcosa di positivo negli sviluppi che ho appena discusso, e non mancano le prove di un allentamento della disparità di genere nel subcontinente in campi diversi, ma le notizie, ahimé, non sono tutte positive. Per esempio ci sono anche segnali preoccupanti almeno per quanto riguarda la diseguaglianza nella natalità. È quanto emerge con chiarezza dai primi risultati del censimento nazionale decennale condotto nel 2001 in India, i cui dati sono ancora in fase di classificazione e di analisi.
I primi risultati indicano che sebbene il rapporto complessivo tra femmine e maschi sia leggermente migliorato nell’insieme del paese (con una corrispondente riduzione della percentuale di “donne mancanti”) il rapporto femmine/maschi fra i bambini è in netta diminuzione. Nell’insieme dell’India, il rapporto femmine/maschi nella popolazione sotto i sei anni di età è passato da 94,5 bambine ogni 100 maschi nel 1991 a 92,7 bambine ogni 100 maschi nel 2001. In alcune zone del paese (e soprattutto in Kerala) questa diminuzione non si riscontra, ma il calo è molto sensibile in Punjab, Haryana, Gujarat e Maharashtra, che sono fra gli Stati indiani più ricchi.
Mettendo insieme tutte le prove disponibili, risulta evidente che questo cambiamento non rispecchia un aumento della mortalità delle bambine, ma una diminuzione nella nascita delle femmine rispetto ai maschi, ed è quasi sicuramente da mettere in relazione con la maggiore disponibilità e il più diffuso ricorso all’accertamento del genere dei feti. Temendo che in India potessero registrarsi aborti basati sul sesso, il parlamento indiano alcuni anni fa ha vietato l’uso di tecniche per conoscere il sesso dei feti, se non come effetto secondario di altre ricerche mediche necessarie. Ma sembra che questa legge sia rimasta in larga misura disattesa. Rispondendo alle domande di Celia Dugger, energica corrispondente del New York Times, la polizia ha sostenuto che è difficile far rispettare la legge perché le madri sono restie a fornire prove sul ricorso a queste tecniche.
Non credo che sia una difficoltà insormontabile (per far rispettare la legge possono essere utilizzate anche prove di tipo diverso), ma la riluttanza delle madri evidenzia quello che forse è l’aspetto più inquietante della diseguaglianza di natalità: mi riferisco alla “preferenza per il figlio maschio” che sembrano provare anche molte madri indiane. Questa forma di diseguaglianza di genere non può essere eliminata, almeno a breve termine, con l’aumento dei diritti e della capacità di agire delle donne, poiché questa capacità di agire è parte integrante delle cause della diseguaglianza nella natalità.
Le iniziative politiche devono tenere conto del fatto che oggi in India il modello della diseguaglianza di genere sembra spostarsi dalla diseguaglianza nella mortalità alla diseguaglianza nella natalità. E, peggio ancora, esistono prove evidenti che i sistemi tradizionali per combattere la diseguaglianza di genere – come l’adozione di politiche per aumentare l’istruzione femminile e la partecipazione economica delle donne – non sono sufficienti a sradicare la diseguaglianza nella natalità. Un forte segnale in questa direzione viene dai paesi dell’Est asiatico, che hanno alti livelli di istruzione e di partecipazione economica femminile.
Rispetto al rapporto biologicamente comune in tutto il mondo di 95 neonate ogni 100 maschi, Singapore e Taiwan hanno 92 bambine, la Corea del Sud solo 88 e la Cina appena 85, malgrado i loro successi nel garantire i diritti delle donne. In realtà, il rapporto generale tra femmine e maschi nella Corea del Sud è un magro 88 a 100, e il cupo rapporto cinese è 85 bambine ogni 100 maschi. Al confronto, il rapporto indiano di 92,7 bambine ogni 100 maschi (sebbene inferiore al valore precedente, 94,5) appare molto meno sfavorevole.
Spaccatura geopolitica
Ci sono però forti elementi di preoccupazione. Tanto per cominciare, questi potrebbero essere soltanto i primi segnali, e dobbiamo chiederci se con la diffusione degli aborti basati sul sesso l’India riuscirà a raggiungere – o addirittura superare – i rapporti femmine/maschi della Corea del Sud e della Cina. Inoltre, già oggi si registrano sensibili differenze all’interno dell’India, e la media nazionale nasconde il fatto che in alcuni Stati indiani il rapporto femmine/maschi fra i bambini è molto più basso della media nazionale.
Anche se gli aborti basati sul sesso in qualche misura vengono praticati nella maggior parte delle regioni indiane, nella diffusione di questa pratica e nell’implicita discriminazione ai danni delle bambine sembra esistere una spaccatura sociale e culturale che divide in due il paese. Poiché in tutto il mondo, anche senza gli aborti basati sul sesso, nascono più maschi che femmine, possiamo utilizzare come punto di riferimento il rapporto femmine/maschi fra i bambini nei paesi industrialmente avanzati. Il rapporto femmine/maschi fra i bambini da zero a cinque anni è di 94,8 in Germania, 95,0 nel Regno Unito e 95,7 negli Stati Uniti. E forse potremmo ragionevolmente indicare il rapporto tedesco di 94,8 come la soglia minima sotto la quale dobbiamo sospettare un intervento ai danni delle femmine.
L’adozione di questo parametro mette in luce un’evidente spaccatura geografica in India. Negli Stati settentrionali e occidentali, il rapporto è uniformemente inferiore alla cifra di riferimento, soprattutto in Punjab, Haryana, Delhi e Gujarat (con rapporti che vanno da 79,3 a 87,8), ma anche negli Stati di Himachal Pradesh, Madhya Pradesh, Rajasthan, Uttar Pradesh, Maharashtra, Jammu e Kashmir e Bihar. Gli Stati orientali e meridionali, viceversa, tendono ad avere rapporti femmine/maschi superiori al parametro di 94,8 bambine ogni 100 maschi, come in Kerala, Andhra Pradesh, Bengala Occidentale e Assam (fra 96,3 e 96,6), ma anche in Orissa, Karnataka e negli Stati nordorientali a est del Bangladesh.
A parte i minuscoli Stati di Dadra e Nagar Haveli (con meno di 250mila abitanti), che sebbene siano a ovest hanno un alto rapporto femmine/maschi fra i bambini, l’unica eccezione di rilievo a questa spaccatura è il Tamil Nadu, dove il rapporto femmine/maschi è leggermente più basso di 94 – più alto del rapporto di qualsiasi altro Stato deficitario, ma comunque inferiore alla nostra linea di demarcazione (94,8).
La scoperta stupefacente, tuttavia, non è che un certo Stato non si adatta perfettamente allo schema. È che la grande maggioranza degli Stati indiani rientra pienamente in due metà contigue, divise in linea di massima fra nord e ovest da una parte e sud ed est dall’altra. Di fatto, ogni Stato a nord e a ovest (con la piccola eccezione del minuscolo territorio di Dadra e Nagar Haveli) ha rapporti femmine/maschi fra i bambini sensibilmente più bassi di qualsiasi altro Stato a est e a sud (perfino il Tamil Nadu rientra in questa classifica). È un dato decisamente significativo.
L’attività critica informata è importante per combattere le diseguaglianze di ogni tipo
Lo schema del rapporto femmine/ maschi fra i bambini dà luogo a una classificazione regionale molto più netta del rapporto femmine/maschi nella mortalità, anche se le due cose sono strettamente associate. Il rapporto femmine/maschi nella mortalità infantile varia dallo 0,91 del Bengala occidentale allo 0,93 del Kerala nel gruppo orientale e meridionale, per arrivare all’1,30 di Punjab, Haryana e Uttar Pradesh nel gruppo settentrionale e occidentale (con alti rapporti anche in Gujarat, Bihar e Rajasthan).
Questo contrasto non ha ragioni economiche evidenti. Fra le regioni con un pregiudizio antifemminile ci sono Stati ricchi (il Punjab e l’Haryana) e Stati poveri (Madhya Pradesh e Uttar Pradesh), Stati in rapida crescita (Gujarat e Maharashtra) e Stati che non riescono a crescere (Bihar e Uttar Pradesh). L’incidenza degli aborti basati sul sesso, inoltre, non si può spiegare con la maggiore disponibilità di strumenti medici per accertare il sesso del feto: il Kerala e il Bengala Occidentale, che non sono Stati deficitari, possono contare almeno sulle stesse strutture mediche di Stati deficitari come il Madhya Pradesh, l’Haryana o il Rajasthan. Se in Kerala e nel Bengala Occidentale il ricorso agli aborti basati sul sesso non è frequente, vuol dire che la domanda è bassa, non che esistono gravi ostacoli nell’offerta di questo particolare servizio.
Probabilmente la nostra indagine deve andare al di là delle risorse economiche, della prosperità materiale o della crescita del Pil per addentrarsi nelle influenze culturali e sociali.
C’è tutta una serie di fattori da prendere in considerazione, e varrebbe sicuramente la pena di collegare l’analisi di queste caratteristiche demografiche all’antropologia sociale e agli studi culturali. C’è anche qualche possibile collegamento con la politica. È stato osservato in altri contesti che gli Stati del nord e dell’ovest dell’India, generalmente, hanno dato molto più spazio alla politica settaria basata sulla religione di quanto abbiano fatto gli Stati orientali e meridionali, dove i partiti di ispirazione religiosa hanno avuto ben poco successo.
Sui 197 membri dell’attuale parlamento indiano appartenenti al Partito Bharatiya Janata (Bjp) e allo Shiva Sena, che rappresentano in grande misura le forze del nazionalismo indù, ben 169 sono stati eletti negli Stati settentrionali e orientali. Anche se è importante tenere sotto controllo la tendenza agli aborti basati sul sesso in tutto il paese, il fatto che esistano nette divisioni riconducibili alla cultura e alla politica può suggerire importanti linee di indagine e possibili rimedi.
La diseguaglianza di genere, quindi, ha molte facce diverse. Per superare alcune delle sue peggiori manifestazioni, soprattutto nei tassi di mortalità, si è dimostrata molto efficace la promozione dei diritti e delle opportunità delle donne con strumenti come l’istruzione e il lavoro retribuito. Ma nell’affrontare la nuova forma della diseguaglianza di genere – l’ingiustizia relativa alla natalità – occorre andare oltre il problema della capacità di azione delle donne e cominciare una valutazione più critica dei valori dominanti.
Quando le discriminazioni nei confronti delle donne (come nel caso degli aborti basati sul sesso) riflettono il prevalere dei tradizionali valori maschilisti da cui le stesse madri possono non essere immuni, occorre non soltanto la libertà di azione ma anche la libertà di pensiero: la libertà di mettere in discussione e di analizzare le convinzioni ereditate e le priorità tradizionali. L’attività critica informata è importante per combattere le diseguaglianze di ogni tipo, e la diseguaglianza di genere non fa eccezione.
Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2001 nel numero 417 di Internazionale.
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