Sette anni fa il governo statunitense si preparava ad affrontare non una ma due pandemie. Nella primavera del 2013 molte persone in Cina erano state contagiate da un nuovo ceppo dell’influenza aviaria H7N9, mentre un’epidemia di Mers, una sindrome respiratoria causata da un coronavirus, era partita dall’Arabia Saudita diffondendosi in altri paesi. “C’era il rischio che entrambe le epidemie si trasformassero in pandemie”, ricorda Beth Cameron, all’epoca nel consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca.
Alla fine non successe, ma il fatto che in quell’occasione gli Stati Uniti abbiano avuto fortuna non deve farli sentire al sicuro. Un virus non è leale. Non ci risparmia solo perché un suo “collega” ci ha già colpiti. Inoltre le pandemie tendono a essere imprevedibili. Nonostante anni di studi e ricerche, “non abbiamo ancora trovato il modo di anticipare l’arrivo di una pandemia”, dice Nídia Trovão, virologa dei National institutes of health, un’agenzia del dipartimento della salute. In un momento in cui emergono nuove malattie a un ritmo sempre più rapido, l’unica certezza che abbiamo è che le pandemie sono inevitabili. Quindi è solo una questione di tempo prima che due pandemie si verifichino contemporaneamente.
Ho pensato per la prima volta alla possibilità di una doppia pandemia a marzo. All’epoca l’idea di dover affrontare due eventi rari nello stesso momento sembrava inutilmente allarmista, ma poi gli errori del governo federale e la riapertura prematura delle attività hanno cancellato i progressi fatti con il distanziamento sociale. Da due settimane negli Stati Uniti ci sono più di 60mila nuovi casi di covid-19 al giorno, e anche il tasso di mortalità è in aumento. Quindi la domanda che mi facevo a marzo torna di attualità. Gli Stati Uniti stanno affrontando in modo disastroso un virus che si diffonde velocemente. Cosa succederebbe se ne arrivasse un altro?
Incapace di gestire una pandemia, Donald Trump ha reso gli Stati Uniti ancora più vulnerabili
Il covid-19 ci ha fatto capire cosa succede quando un paese si fa trovare impreparato per un evento raro ma devastante. Dopo mesi di pandemia, oggi le relazioni degli Stati Uniti con gli altri paesi sono sempre più tese, le risorse sanitarie scarseggiano e gli esperti sono demoralizzati. Più il paese andrà avanti in questa direzione e più diventerà vulnerabile a nuovi cataclismi come uragani, incendi e altri virus.
Il Sars-cov-2 è solo uno dei molti coronavirus presenti nei pipistrelli e in altri animali. I maiali e il pollame sono portatori di diversi ceppi del virus dell’influenza potenzialmente pandemici, e nell’ultimo decennio ci sono stati decine di casi di allevatori contagiati. Secondo le stime, i mammiferi selvatici sono portatori di circa 40mila virus sconosciuti, e un quarto di questi potrebbe trasmettersi agli esseri umani. I cambiamenti climatici e la riduzione degli habitat naturali hanno messo questi virus a contatto con le persone e il bestiame, mentre le città affollate e i viaggi in aereo hanno facilitato la loro diffusione. “Se dovesse scoppiare un’altra epidemia, di sicuro seguirà il percorso di quella attuale, perché questo è il mondo che abbiamo creato”, spiega Jessica Metcalf, ecologa e specialista di malattie infettive dell’università di Princeton.
Incubo logistico
Alcuni fattori fanno crescere il potenziale pandemico di un virus. Le malattie che si trasmettono attraverso i fluidi corporei (ebola), il cibo e l’acqua contaminati (norovirus) o le punture d’insetto (zika) si diffondono lentamente. Al contrario, i virus respiratori come quello dell’influenza, che si trasmette attraverso i colpi di tosse, gli starnuti e le esalazioni, potrebbero viaggiare con velocità tale da sovrapporsi al covid-19.
Molti paesi hanno imparato dall’esperienza del covid-19 e sono pronti ad affrontare una nuova pandemia, esattamente come i paesi asiatici erano pronti ad affrontare quella attuale grazie alle lezioni imparate fronteggiando Sars e Mers. Tuttavia, la crisi della solidarietà globale è un problema. “Le nostre leggi internazionali sono basate sul presupposto che, in caso di una nuova epidemia, un paese avverta tempestivamente gli altri e in cambio riceva una protezione dalle conseguenze economiche di questa condivisione delle informazioni”, spiega Alexandra Phelan, che all’università di Georgetown si occupa delle ripercussioni legali delle malattie infettive. Questo “patto” è stato violato durante la pandemia di covid-19, perché la Cina ha nascosto alcune informazioni sull’epidemia e altri paesi hanno subito imposto limitazioni agli spostamenti. Oggi molti divieti riguardano proprio gli statunitensi.
Incapace di gestire una pandemia, Donald Trump ha reso gli Stati Uniti ancora più vulnerabili all’eventualità di doverne gestire una seconda. Ha deciso, per esempio, di tagliare il contributo degli Stati Uniti all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Non è chiaro se Trump abbia l’autorità legale per farlo, ma anche se la minaccia si rivelasse vuota “avrà comunque effetti immediati”, spiega Loyce Pace, presidente del Global health council. I funzionari e gli esperti statunitensi, infatti, si allontaneranno dalle istituzioni internazionali, e questo potrebbe spingere i funzionari di altri paesi a fare lo stesso.
Questa situazione non solo danneggerà l’Oms in un momento in cui il suo ruolo è essenziale, ma intaccherà ulteriormente la reputazione degli Stati Uniti nel mondo. Un paese che ha gestito in modo vergognoso un’epidemia, ha fatto razzia delle scorte mondiali di farmaci essenziali e non rispetta gli accordi internazionali sarà comprensibilmente ignorato quando scoppierà una nuova crisi.
Una seconda pandemia potrebbe essere gestita bene in paesi dove la popolazione è già in guardia e dove le autorità sono in grado di mettere in atto strategie sanitarie efficaci, per esempio facendo in modo che i test usati per rilevare la presenza del covid-19 siano modificati per individuare anche il nuovo virus.
Questo ottimismo è giustificato per paesi come la Corea del Sud, la Nuova Zelanda e la Germania, che sono riusciti a controllare la diffusione del covid-19. Ma sembra mal riposto per gli Stati Uniti, il Brasile, la Russia o l’India, ancora nella fase acuta dell’epidemia e chiaramente in difficoltà. In questi paesi il covid nasconderebbe la diffusione di qualsiasi nuovo virus respiratorio, che “potrebbe fare enormi danni prima di essere individuato”, sottolinea Cameron. Rilevare la presenza del nuovo virus sarebbe difficile anche perché “tutte le risorse che solitamente dedichiamo alla ricerca di potenziali virus, dai tamponi agli operatori fino ai ricercatori che analizzano i dati, sono impiegate per l’emergenza attuale”, spiega Lauren Sauer dell’università Johns Hopkins. Le scorte di forniture sanitarie stanno per esaurirsi, mentre molti operatori sono al limite del crollo nervoso.
Nessuno è immune
In caso di una doppia pandemia gli ospedali statunitensi andrebbero in crisi. In molti stati i pronto soccorso e le terapie intensive sono già quasi pieni. Un secondo virus, anche se meno letale e aggressivo del Sars-cov-2, creerebbe una carenza di posti letto ed equipaggiamenti protettivi, e sarebbe un incubo dal punto di vista logistico. “Immaginiamo di avere una pandemia di covid-19 e contemporaneamente una seconda pandemia d’influenza”, ipotizza Sauer. “In quel caso ci sarebbero due gruppi diversi di pazienti che andrebbero separati” per evitare che una persona affetta da covid-19 possa contrarre anche il virus dell’influenza, e viceversa. I medici e gli infermieri, sfiniti da mesi di lavoro contro il covid-19, dovrebbero gestire nuovi e complicati protocolli sanitari.
Un secondo virus avrebbe effetti particolarmente devastanti se prendesse di mira una parte della popolazione diversa rispetto a quella colpita dal covid-19. Contrariamente al Sars-cov-2, particolarmente pericoloso per gli anziani, molti virus respiratori attaccano soprattutto i bambini, mentre la pandemia d’influenza del 1918 colpì duramente gli adulti tra i venti e i quarant’anni. “Sarebbe devastante a livello economico e non avremmo più una fascia d’età protetta”, spiega Zeynep Tufekci, sociologa dell’università del North Carolina.
Essere contagiati da virus respiratori diversi contemporaneamente è possibile. All’inizio della primavera, per esempio, negli Stati Uniti alcuni adulti avevano contratto sia l’influenza sia il covid-19. Ma è difficile prevedere cosa succede quando due patogeni particolarmente aggressivi colpiscono la stessa persona. I virus si riproducono assumendo il controllo delle cellule dell’organismo ospitante, dunque due virus potrebbero ostacolarsi a vicenda contendendosi le stesse cellule. Inoltre è possibile che un virus inneschi una reazione immunitaria, come un’infiammazione, che ostacolerebbe l’altro virus. Ma potrebbe anche succedere che due malattie gravi si peggiorino a vicenda. “Al centro di tutti questi problemi c’è il sistema immunitario”, un sistema complicatissimo, ammette Metcalf.
Domande in sospeso
Capire come funziona il sistema immunitario è particolarmente difficile durante una pandemia. In questo momento quasi tutte le energie della comunità scientifica sono dedicate allo studio del covid-19, eppure ci sono ancora domande fondamentali senza risposta. Perché alcune persone si ammalano e altre no? Qual è la gamma completa dei sintomi? Perché alcune persone sono molto più contagiose di altre? Se scoppiasse una seconda pandemia i ricercatori dovrebbero studiare i due virus individualmente e anche le interazioni tra loro. Invece di avere risposta a quelle domande, l’incertezza aumenterebbe. La confusione sulla pandemia attuale ha già spinto molte persone a sposare teorie infondate sul virus. Se si verificasse un secondo evento improbabile, la paranoia del complotto crescerebbe ulteriormente.
Il 6 luglio si è diffusa la notizia di un caso di peste bubbonica nella Mongolia Interna, una regione della Cina settentrionale. La peste è endemica tra i roditori della zona, ma anche tra quelli degli Stati Uniti sudoccidentali. Ogni anno un numero limitato di statunitensi si ammala di peste. Anche se la malattia è curabile con gli antibiotici, la notizia proveniente dalla Cina ha fatto il giro del mondo. “Succede ancora nel 2020?”, hanno scritto in tanti.
Le minacce che attirano di più l’attenzione non sono necessariamente le più pericolose. A maggio gli statunitensi sono stati presi dal panico a causa dei cosiddetti calabroni assassini, ma nel frattempo la peggiore invasione di locuste degli ultimi settant’anni ha devastato i campi dell’Africa orientale. Mentre un singolo caso di peste in Cina conquista le prima pagine dei giornali, la Repubblica Democratica del Congo è colpita da una raffica di virus: l’ebola è tornato, c’è il covid-19 e anche la peggiore epidemia di morbillo del mondo.
Gli Stati Uniti rischiano di ritrovarsi in una situazione simile. Anche se non dovesse scoppiare una seconda pandemia, si sta avvicinando l’influenza stagionale. “Sono molto preoccupata”, ammette Sauer. I giovani adulti, categoria demografica che ha contribuito all’attuale aumento dei casi di covid-19, potrebbero veicolare anche una brutta stagione influenzale. Le persone che in condizioni normali gestirebbero l’influenza oggi non hanno il tempo di farlo. Il vaccino contro l’influenza stagionale potrebbe risultare meno efficace, perché i virus dell’influenza cambiano costantemente e devono essere accuratamente monitorati per garantire che ogni anno il vaccino sia adatto ai ceppi in circolazione. Ma il processo risulta estremamente complicato in un momento in cui il covid-19 monopolizza le energie e il tempo.
Il mondo rischia di cancellare decenni di progressi contro la poliomielite
Se la pandemia attuale non sarà superata, altre malattie conosciute e prevenibili saranno libere di diffondersi. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, la massima autorità sanitaria statunitense, hanno comunicato che in Michigan la percentuale di bambini di cinque mesi in regola con le vaccinazioni è scesa dal 68 per cento al 50 per cento tra il 2019 e il 2020. Le vaccinazioni infantili si sono ridotte in molti altri stati a causa della chiusura degli studi pediatrici o della rinuncia dei genitori.
Le iniziative globali per combattere l’hiv, la malaria e la tubercolosi sono state indebolite dalla necessità di convogliare gli operatori verso la risposta al covid-19, oltre che dalla carenza di forniture e dall’ingolfamento dei laboratori. I programmi per le vaccinazioni sono stati sospesi in molti paesi, provocando un aumento dei casi di morbillo, colera e difterite. Se queste campagne di vaccinazione rimarranno in pausa per troppo tempo, il mondo rischia di perdere decenni di progressi contro la poliomielite, una malattia che è stata quasi del tutto debellata.
Tappare i buchi non basta
“Quando due o più malattie si combinano, interagiscono e sono influenzate da un fenomeno più grande si parla di sindemia”, spiega Emily Mendenhall, antropologa medica dell’università di Georgetown. Il covid-19, per esempio, colpisce in modo sproporzionato le persone affette da diabete e disturbi cardiaci, ma tutte queste malattie sono anche un effetto delle disuguaglianze. Negli Stati Uniti neri e ispanici hanno più probabilità di vivere in un quartiere povero, di non seguire una dieta sana e di svolgere un lavoro mal retribuito e considerato “essenziale”, cioè che non si può interrompere durante un’epidemia. Quindi sono più esposti sia alle malattie croniche sia al covid.
Il concetto di sindemia è importante, perché ci ricorda che le malattie sono influenzate da ogni aspetto di una società, dai valori culturali che determinano chi viene curato e chi viene ignorato, ma anche dalle scelte politiche che definiscono la capacità di un paese di rispondere a una minaccia. Per prepararsi adeguatamente alle pandemie – una, due o anche cinque – gli Stati Uniti non hanno bisogno solo di innovazioni nel campo biomedico, come vaccini e farmaci. “Dobbiamo tappare tutti i buchi”, spiega Tufekci. Questo significa investire nella sanità pubblica per garantire cure mediche a tutti. Ma bisogna anche smantellare le politiche razziste che hanno costretto le comunità emarginate a sostenere il peso dell’epidemia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul numero 1368 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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