Gli avvenimenti si susseguono a un ritmo angosciante. Venerdì, il 27 settembre, l’esercito israeliano ha ucciso in un raid nella periferia meridionale di Beirut Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah. Lunedì la guerra israeliana contro il movimento sciita in Libano è arrivata nel cuore della capitale, quando un drone ha colpito un appartamento uccidendo tre esponenti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), un gruppo palestinese laico e di sinistra che Israele e l’Unione europea considerano terroristico. La stessa sera l’esercito ha lanciato un’offensiva di terra nel sud del Libano. Ieri l’Iran ha risposto con un grande attacco missilistico in Israele, che ha causato due feriti e ha ucciso un palestinese nella Cisgiordania occupata. L’esercito israeliano ha affermato che un gran numero di missili è stato intercettato dallo scudo Iron dome, mentre il Pentagono ha riferito che anche navi statunitensi hanno contribuito alle operazioni d’intercettazione.
Per tutta la settimana gli attacchi israeliani hanno continuato a prendere di mira le roccaforti di Hezbollah in Libano, in particolare nella valle della Beqaa. Inoltre il 29 settembre hanno colpito anche obiettivi dei miliziani sciiti huthi nello Yemen, uccidendo quattro persone, dopo che questi ultimi avevano rivendicato il lancio di un missile verso l’aeroporto di Tel Aviv, mentre la notte successiva un raid ha ucciso tre civili nella regione di Damasco. Secondo la tv di stato siriana, tra le vittime c’è anche una giornalista, Safaa Ahmad.
Da metà settembre, quando l’offensiva di Tel Aviv si è intensificata, i bombardamenti israeliani in Libano hanno provocato la morte di più di mille persone, la maggior parte delle quali civili, secondo il ministero della sanità libanese. In un anno sono state uccise 1.873 persone, un bilancio più pesante di quello dei 33 giorni di guerra tra Israele e Hezbollah nel 2006. Il primo ministro libanese Najib Miqati ha fatto sapere che quasi un milione di libanesi sono stati costretti a lasciare le loro case nel più grande trasferimento di popolazione nella storia del paese.
Questa situazione di grande incertezza solleva una serie di interrogativi ai quali è difficile dare risposte definitive. Ecco alcune riflessioni della stampa internazionale e regionale.
Oggi Israele e Iran si sono lanciati minacce reciproche. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha accusato Teheran di aver “commesso un grave errore” di cui “pagherà il prezzo”. L’Iran ha affermato che l’attacco è terminato, ma che “colpirà ancora più forte prendendo di mira tutte le infrastrutture del paese” in caso di rappresaglia israeliana. Secondo il New York Times quello attuale è uno dei momenti più pericolosi nella regione dalla guerra arabo-israeliana del 1967: “Le domande principali ora riguardano quanto il conflitto potrebbe aggravarsi e se gli Stati Uniti saranno coinvolti più direttamente”.
I prossimi giorni saranno determinanti, prevede il quotidiano: “Da quando Israele ha ucciso Nasrallah venerdì, l’amministrazione Biden è passata da mettere in guardia contro una guerra più ampia a cercare di gestirla. I funzionari statunitensi hanno difeso il diritto di Israele di colpire l’Iran, ma stanno sconsigliando attacchi diretti alle sue strutture nucleari che potrebbero portare il conflitto fuori controllo”. Questa è la spirale che Biden voleva evitare a tutti i costi, ma che non è stato in grado di fermare, nemmeno con le grandi forze statunitensi dispiegate nella regione.
L’editoriale di El País che pubblichiamo nel prossimo numero di Internazionale, online da domani e in edicola dal 4 ottobre, accusa Netanyahu di aver “ignorato tutti gli inviti alla moderazione e di aver rifiutato di fare concessioni umanitarie” portando avanti una guerra brutale a Gaza ed estendendo gli attacchi al Libano. Il risultato è che “la temuta guerra regionale su vasta scala in Medio Oriente è sempre più vicina”.
Come sarà l’operazione di terra israeliana?
In un comunicato l’esercito ha precisato che l’offensiva nel sud del Libano sarà “limitata e localizzata, e prenderà di mira obiettivi terroristici e infrastrutture di Hezbollah”. Secondo Israele questi obiettivi “si trovano nei villaggi vicini al confine e rappresentano una minaccia immediata per gli abitanti del nord d’Israele”. Il segretario alla difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato sul social network X di essere d’accordo con Israele “sulla necessità di smantellare le infrastrutture di Hezbollah per evitare che possa compiere attacchi nel nord d’Israele simili a quello di Hamas del 7 ottobre”.
Il sito d’informazione statunitense Axios ha riferito, citando funzionari israeliani che hanno chiesto di restare anonimi, che l’obiettivo “non è occupare il sud del Libano”, ma eliminare la presenza di Hezbollah al confine in modo da consentire il ritorno alle loro case a decine di migliaia di israeliani fuggiti dopo che il gruppo libanese ha cominciato a lanciare razzi in solidarietà con i palestinesi nella Striscia di Gaza.
Dietro le quinte i funzionari statunitensi avrebbero però espresso la preoccupazione che un’operazione limitata nel tempo e nello spazio possa diventare più ampia e a lungo termine. Secondo il Wall Street Journal, la nuova fase del conflitto “potrebbe essere più difficile per l’esercito israeliano”. Se Israele decidesse si occupare il territorio libanese, la storia “rischierebbe di ripetersi”, commenta il quotidiano conservatore statunitense, ricordando che Tel Aviv “ha messo fine a diciott’anni di occupazione del sud del Libano nel 2000, dopo anni di attacchi di Hezbollah”. Nel 2006 inoltre ha subìto un “disastro militare” nella guerra contro il gruppo sciita, che è riuscito a “neutralizzare i carri armati d’invasione israeliani e a uccidere 121 soldati israeliani”.
Cosa farà Hezbollah?
La struttura di comando del gruppo sciita è stata decapitata: più di dieci dei suoi più importanti comandanti sono stati uccisi, la comunicazione interna è stata sabotata con la doppia operazione contro i cercapersone e i walkie-talkie del 17 e 18 settembre e molti depositi di armi sono stati distrutti nei bombardamenti. È probabile quindi che questi colpi destabilizzino il gruppo e ne alterino le strategie politiche e militari nel breve periodo.
Ma come scrive Frank Gardner sulla Bbc l’organizzazione non si arrenderà e continuerà a combattere. Può contare ancora su migliaia di miliziani, molti dei quali si sono formati in anni di combattimenti in Siria, e su un sostanzioso arsenale, compresi missili di precisione a lunga gittata in grado di colpire Tel Aviv e altre città israeliane. Dario Sabaghi su The New Arab aggiunge che l’offensiva di terra israeliana nel sud del Libano potrebbe essere complicata dalla rete di tunnel scavata da Hezbollah, simile a quella di Hamas nella Striscia di Gaza: “Il terreno accidentato limita l’efficacia dei carri armati e la tattica di Hezbollah di emergere dai tunnel per colpire e ritirarsi potrebbe provocare vittime israeliane”.
Su Al Monitor Colin P. Clarke conferma che l’invasione israeliana può essere “un regalo” per Hezbollah, che coglierà l’occasione per lanciare una guerriglia contro l’esercito di Tel Aviv, affidandosi alla sua conoscenza del terreno e alle tattiche insurrezionali. Inoltre il suo sostegno tra la popolazione, anche sunnita, aumenterà. Secondo Clarke, Hezbollah è più resistente di gruppi terroristici come lo Stato islamico o Al Qaeda perché “è una parte integrante del tessuto sociopolitico del Libano”.
Qual è la posizione dell’Iran?
Secondo Middle East Eye, conservatori e moderati sono divisi su come rispondere all’aumento delle tensioni. Alcuni esponenti dell’ala più intransigente del regime hanno accusato il presidente riformista Masoud Pezeshkian di aver causato un aumento delle tensioni mostrandosi debole di fronte alla comunità internazionale. Diversi giornali, tra cui Iran International, hanno notato che al momento la priorità del regime dell’ayatollah Ali Khamenei, ossessionato dalla sua sopravvivenza e drammaticamente a corto di soldi, sembra essere quello di un ritorno ai negoziati sul nucleare con l’occidente, con l’obiettivo di ottenere un allentamento delle sanzioni internazionali. In un’intervista al sito legato all’opposizione della diaspora l’esperto Ali Fathollah-Nejad spiega la “preferenza strategica” di Teheran ad assicurarsi un allentamento delle sanzioni, cosa che favorirebbe la stabilità del regime.
In un articolo su L’Orient-Le Jour Salah Hijazi aggiunge che il regime iraniano non è interessato a un confronto diretto con Israele: “Il dilemma è quindi trovare un modo, se ne esiste uno, per rispondere senza scatenare una guerra tra i due paesi”. Su Radio Farda, il canale in inglese e persiano dell’emittente Radio Free Europe/Radio Liberty, Kian Sharifi conferma che Teheran è consapevole della schiacciante superiorità militare di Tel Aviv, anche se il suo arsenale di missili e droni costituisce una minaccia significativa. Secondo Sharifi è più probabile che si rivolga ai suoi altri alleati nella regione – tra cui le milizie sciite in Iraq, i combattenti huthi nello Yemen e altre milizie in Siria – per infliggere danni a Israele e agli Stati Uniti suoi alleati.
Come stanno reagendo i paesi arabi?
La posizione dei paesi arabi è diversa: l’Iraq, la Siria e l’Egitto hanno condannato l’uccisione di Hassan Nasrallah e “l’aggressione israeliana”, mentre i paesi del Golfo sono rimasti in silenzio. Al Araby al Jadid sottolinea che Baghdad mantiene un atteggiamento cauto per evitare di innervosire gli Stati Uniti, anche se il ministro degli esteri Fuad Hussein ha avvertito che i conflitti contribuiranno a far nascere “nuove bande terroristiche” o a dare vigore a quelle già attive nella regione, come il gruppo Stato islamico. Il quotidiano panarabo aggiunge che alcune milizie filoiraniane in Iraq sono pronte a entrare in guerra al fianco di Hezbollah.
La Siria si è limitata a dichiarare in un comunicato che “il popolo siriano non dimenticherà mai il sostegno” ricevuto da Hezbollah, un riferimento al contributo del gruppo sciita per mantenere Bashar al Assad al potere. Secondo il settimanale saudita Al Majalla, Assad sta “fiutando un’opportunità” per riempire il vuoto di potere lasciato dal calo dell’influenza iraniana in Libano. Potrebbe approfittarne per riabilitarsi agli occhi della comunità internazionale, dopo anni di isolamento.
L’Orient-Le Jour sottolinea “il silenzio rivelatore” dei paesi del Golfo: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar da un lato “si rallegrano discretamente” della situazione, dall’altra “cercano di riappropriarsi della causa palestinese”. Il quotidiano panarabo Al Quds al Arabi commenta che l’uccisione di Nasrallah e l’offensiva israeliana in Libano cambieranno definitivamente il volto nella regione, espandendo l’occupazione israeliana in Palestina e in Libano. Il giornale indipendente siriano Enab Baladi denuncia l’incapacità della comunità internazionale di frenare “il progetto di occupazione e insediamento d’Israele nella regione”, che ha l’obiettivo di eliminare la Palestina e trasformare “il Libano e la Siria in corridoi commerciali che attraverso il golfo Persico arrivano fino all’India e all’Europa”.
Che ne sarà del Libano?
In un’analisi su L’Orient-Le Jour, il quotidiano che dirige, Anthony Samrani si preoccupa del fatto che Israele agisce “senza il minimo ritegno o considerazione per le perdite civili” e senza alcuna condanna da parte della comunità internazionale: “Se l’escalation continuerà il bilancio raggiungerà rapidamente le migliaia di morti e una gran parte delle infrastrutture del sud, della Beqaa e della periferia meridionale di Beirut sarà distrutta”.
Se si arriverà a un cessate il fuoco si aprirà un nuovo capitolo nella storia del Libano, dominato da oltre vent’anni dall’ombra di Hezbollah: “Qualunque sarà l’esito della guerra, Hezbollah ne uscirà indebolito. Ci vorranno anni per ricostruire la credibilità tra la sua base popolare, i libanesi e i paesi della regione. Ma non per questo scomparirà. La formazione filoiraniana si evolverà, muterà, ma continuerà a essere la più forte sulla scena libanese”. Tutti gli scenari sono sul tavolo, conclude Samrani: “Quello di una guerra totale, di una sconfitta che il partito sciita farà scontare al Libano, e quello di un’opportunità – fragilissima – di fare finalmente tesoro della lezione su quello che ha portato il Libano (al di là di Hezbollah) a ritrovarsi ancora una volta in questa situazione”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.
Iscriviti a Mediorientale |
Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
|
Iscriviti |
Iscriviti a Mediorientale
|
Cosa succede in Medio Oriente. A cura di Francesca Gnetti. Ogni mercoledì.
|
Iscriviti |
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it