Dal 31 ottobre al 3 novembre Carlo III e la regina consorte Camilla Shand sono stati in Kenya per una visita di stato, la prima del re britannico in un paese del Commonwealth, l’associazione formata in gran parte da ex colonie britanniche.

In vista del viaggio le organizzazioni per i diritti umani e gli attivisti politici keniani si erano preparati a fare domande scomode e a presentare petizioni al sovrano. Tra questi gruppi c’è la Kenya human rights commission (Khrc), che nel 2013 ha condotto una battaglia legale nei tribunali britannici ottenendo un risarcimento per gli abusi subiti dai combattenti mau mau e dai keniani accusati di sostenerli durante la rivolta anticoloniale. La Khrc ha chiesto a Carlo III delle scuse ufficiali. Ma non è stata accontentata.

Durante una cena con il presidente keniano William Ruto, il re britannico si è infatti astenuto dal presentare scuse formali, limitandosi a parlare di “grande dolore e profondo rimpianto” per quelli che ha riconosciuto come “ripugnanti e ingiustificabili atti di violenza contro i keniani, per i quali non ci sono scusanti”. La scelta di usare un linguaggio prudente serve probabilmente a evitare delle possibili ricadute legali, come le cause per ottenere risarcimenti o altre forme di compensazione.

Poco più di un anno fa anche il re Filippo del Belgio aveva fatto lo stesso quando aveva visitato la Repubblica Democratica del Congo, un altro paese che ancora oggi cerca di guarire dalle ferite inflitte dalla durissima dominazione coloniale belga.

Durante la cena con Carlo III, Ruto ha diplomaticamente lodato “il coraggio” del sovrano, anche se non ha esitato a condannare le politiche britanniche del passato. Spera probabilmente, come sottolinea anche la stampa keniana, di poter essere visto come “colui che può portare avanti gli interessi di Londra in Africa. È già considerato un fedele alleato degli Stati Uniti. Dopo la visita di Carlo, spera di avere una voce più forte anche nel Commonwealth”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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