In cinese si chiama zhiding jusuo jianshi juzhu: sorveglianza residenziale in un luogo designato (Rsdl). La formula può ricordare gli arresti domiciliari, ma così non è. Inserita nel codice di procedura penale cinese nel 2012, serve a giustificare le detenzioni extragiudiziali. Non che prima non esistessero, però la gente spariva “illegalmente”. Ora invece è la legge che lo prevede. Con la “sorveglianza residenziale”, chiunque sia ritenuto un pericolo per la sicurezza nazionale può scomparire fino a sei mesi in centri di prigionia che operano al di fuori del sistema giudiziario e in regime di isolamento.
Un gruppo di attivisti che fa capo alla ong per i diritti umani Safeguard defenders ha pubblicato nel 2017 un libro che per la prima volta raccoglie undici testimonianze di persone che sono passate attraverso questo sistema di “sparizioni forzate”. S’intitola The people’s republic of the disappeared. Stories from inside China’s system for enforced disappearences.
Il giro di vite
Il libro è dedicato a Wang Quanzhang, un avvocato weiquan – cioè “per i diritti umani” – di cui non si hanno più notizie dal 3 agosto 2015, quando scomparve nell’ambito del “709”, un giro di vite che prende il nome dal giorno in cui cominciò, il 9 luglio di quell’anno. Si calcola che da allora circa 250 avvocati e attivisti per i diritti umani siano stati detenuti o interrogati.
Un weiquan è anche Teng Biao. Arrestato due volte negli anni precedenti all’Rsdl (nel 2008 e nel 2011) è autore dell’introduzione del libro. Ora vive negli Stati Uniti, da dove ha accettato di essere intervistato.
“L’Rsdl è una sparizione forzata”, spiega, “quindi è in conflitto con la costituzione cinese e viola le convenzioni internazionali sui diritti umani. Il nome è fuorviante, perché nasconde il fatto che è peggiore di una detenzione regolare, impone a chi ci finisce una forma estrema di isolamento e ha reso la tortura un fenomeno dilagante”.
È ingenuo pensare che un paese, qualsiasi paese, non sospenda lo stato di diritto quando si sente minacciato. In Italia accadde con le leggi speciali alla fine degli anni settanta, più di recente tornano alla mente le extraordinary renditions statunitensi, a Guantanamo e ad Abu Ghraib.
Ciò che colpisce della situazione cinese è l’estensione del concetto di “sicurezza nazionale” anche alla normale attività di avvocati che, nel nome della costituzione e delle stesse leggi cinesi, difendono dissidenti, sette religiose come il Falungong, minoranze etniche come gli uiguri. È come se tutte le figure di mediazione siano state eliminate, c’è una nuova ortodossia di partito che prescrive “o con me, o contro di me”.
Tra le testimonianze raccolte nel libro, c’è quella di Peter Dahlin, attivista svedese della ong China action, un’organizzazione fondata a Pechino da alcuni avvocati cinesi alla fine del 2008, che forniva consulenza e supporto legale agli avvocati per i diritti umani. Il caso di Dahlin è famoso perché ha fatto capire che, in barba al diritto internazionale, anche uno straniero può finire in regime di Rsdl. Arrestato il 4 gennaio 2016, l’attivista svedese fu rilasciato 20 giorni dopo e quindi espulso dalla Cina, dopo una confessione trasmessa dalla televisione nazionale. Lui in seguito ha ritrattato e spiegato che tali confessioni sono recite in cui il “reo” legge letteralmente un documento predefinito. Con l’attivista svedese fu arrestata anche la sua compagna cinese, Pan Jinling. Ecco come Dahlin racconta quel giorno:
Non fu una sorpresa. Era già accaduto che degli attivisti fossero arrestati, interrogati, ma questa volta ero venuto a sapere che il mio nome era stato esplicitamente menzionato durante l’interrogatorio di altre persone, cosa mai successa prima. Era abbastanza chiaro che stesse succedendo qualcosa e avevo già pianificato la partenza, poi anticipai addirittura il volo. Ma non feci in tempo. Quando la sicurezza fece irruzione in casa mia, mancavano solo due ore prima che andassi all’aeroporto. Mi comunicarono subito che sia io sia la mia ragazza eravamo in arresto in base all’articolo 107 del codice penale: avere utilizzato finanziamenti stranieri per attività contrarie alla sicurezza nazionale. Sul tema della sicurezza, l’articolo più famoso e più spesso usato contro avvocati, giornalisti e difensori dei diritti è il 105: incitazione alla sovversione dei poteri dello stato. Sta in una sezione che fino al 1997 si chiamava ‘crimini controrivoluzionari’, ma sebbene ora si parli di ‘sicurezza nazionale’, l’articolo è utilizzato più o meno allo stesso modo.
In cosa consiste invece la tortura di cui parla Teng Biao?
“Io sono stato trattato con i guanti di velluto in confronto a quello che passano i cinesi “, dice Dahlin.
Certo, sono stato privato del sonno e ho subìto interrogazioni infinite, di solito notturne, con lo sbirro buono e quello cattivo, ma non sono mai stato torturato fisicamente proprio perché straniero. Negli altri casi si va invece al di là del semplice isolamento: percosse, posizioni di stress, assunzione forzata di farmaci e ore passate incatenati. Tutte le testimonianze rivelano che la tortura mentale e fisica è sistematica. Un mio collega era sorpreso di quanto fossero esperti, lo picchiavano in modo da non lasciare segni. Era dolorosissimo, ma non si vedevano tracce sul corpo. Altri hanno raccontato l’uso della ‘sedia penzolante’, dove sei costretto a sederti su uno sgabello alto, con le gambe che non possono toccare il suolo. Ti fanno andare avanti così fino a 20 ore al giorno e il gonfiore delle gambe provoca un dolore immenso. Se provi a muoverti, ti picchiano e ti prendono a calci.
Eppure, The people’s republic of the disappeared offre anche momenti ironici. Uno degli avvocati arrestati, Liu Shihui, durante un interrogatorio si sente per esempio accusare di avere venduto dei titoli borsistici in suo possesso per finanziare una presunta rivoluzione. La sua risposta ai funzionari della sicurezza è molto decisa e, probabilmente, anche molto cinese: “Non sono così stupido da finanziare una rivoluzione con i miei soldi!”.
Senza pretendere di dare alla Cina lezioni di superiorità liberaldemocratica, si tratta di comprendere come l’Rsdl si inserisca nel contesto della Cina odierna, nel sesto anno dell’era di Xi Jinping.
In un passaggio del libro, un funzionario della pubblica sicurezza dice a uno dei detenuti: “Tutte le leggi in Cina mirano a preservare il potere del Partito comunista”.
Secondo Michael Caster, editor del libro ed ex attivista di China action “lo stato di diritto cinese non tiene conto degli standard internazionali secondo cui la legge deve essere accessibile, prevedibile, equa e responsabile. La Cina dice di basarsi sullo stato di diritto, ma in realtà è rule by law, governo attraverso la legge o autoritarismo giuridico. L’intero sistema legale è concepito per punire le voci indipendenti e proteggere il partito, che ora è sinonimo di Xi Jinping”.
Teng Biao la fa ancora più semplice: “Generalmente, in Cina, quando una legge è a favore del governo, è attuata in modo efficace e addirittura estesa oltre i propri limiti. Quando è a favore dei cittadini, c’è sempre qualcosa che va storto nella sua applicazione”.
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