Un gruppo di ricercatori dell’università di Oslo ha proposto una nuova teoria per spiegare l’origine dei misteriosi crateri comparsi nelle penisole di Yamal e Gydan, sulla costa settentrionale della Siberia.
Queste enormi formazioni quasi perfettamente cilindriche, che possono arrivare a cinquanta metri di profondità e venti di diametro, sono state avvistate a partire dal 2012. Finora ne sono state contate 17, ma potrebbero essere molte di più.
Fin da subito gli scienziati hanno ipotizzato un legame con lo scioglimento del permafrost, lo strato di suolo che normalmente resta gelato per tutto l’anno, ma che si sta destabilizzando sempre più rapidamente a causa del cambiamento climatico. Il processo è accompagnato dalla formazione di metano dovuta alla decomposizione della materia organica conservata nel terreno.
Ma la quantità di gas così prodotta non sembra sufficiente a provocare esplosioni talmente potenti da scagliare blocchi di ghiaccio delle dimensioni di un autobus a decine di metri di distanza. E se il motivo fosse questo, i crateri dovrebbero essere trovati anche in altre regioni artiche.
Secondo il nuovo studio il fenomeno sarebbe invece dovuto all’affioramento di gas naturale caldo proveniente da formazioni geologiche più profonde. Il gas scioglie il permafrost da sotto, mentre l’aumento della temperatura atmosferica lo scioglie da sopra, finché non è più in grado di resistere alla pressione e si verifica un’esplosione.
Se questa ipotesi fosse confermata, il fenomeno non sarebbe solo una minaccia immediata per le persone e le infrastrutture nella regione, ma rappresenterebbe una fonte ulteriore di emissioni di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica, e potrebbe estendersi ad altre zone con caratteristiche geologiche simili.
Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.
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