Le vendite di alcolici sono aumentate nel 2020, soprattutto quelle di superalcolici. Ma un tipo di alcool è stato venduto decisamente più di tutti gli altri: quello nei gel igienizzanti per le mani.

In piena pandemia, l’azienda Purell (specializzata in gel igienizzanti ) ha investito circa quattrocento milioni di dollari per aumentare la produzione. Come sa chiunque abbia dato la caccia ai flaconi, l’azienda non è riuscita neanche lontanamente a soddisfare la domanda. Anche distillerie e governi statali sono entrati in azione. La versione dello stato di New York era, per quanto ricordo, un misto tra deodorante per gabinetti e vodka di infimo livello (sono comunque grato di averlo avuto). Tutto compreso, alla fine del 2020 le vendite di gel igienizzante erano aumentate del 600 per cento.

Alcuni di questi prodotti giacciono ancora, intatti, nelle riserve accumulate dalle persone in vista della pandemia. Ma una buona parte è finita sulla nostra pelle, dove l’alcool dissolve rapidamente quasi tutti i virus, batteri e funghi che incontra. Questo drammatico aumento di igienizzazione personale – abbinato a molti altre abitudini che riducono il numero di microbi, come indossare mascherine e rispettare il distanziamento sociale – hanno spinto alcuni biologi a interrogarsi, in articoli scientifici e importanti commenti, sulla portata dei “danni collaterali” al nostro sistema immunitario.

Un’attività rilevante
Chiariamo subito una cosa: sconfiggere il covid-19 è, senza dubbio, fondamentale. Milioni di persone sono morte, e decine di migliaia muoiono ogni settimana. Allo stesso tempo, però, la maggior parte dei trilioni di microbi che vivono nelle nostri pelli e nelle nostre viscere – detti collettivamente il nostro microbiota – è di volta in volta innocua o utile. “I microbi che ci portiamo addosso sono coinvolti in molti dei processi fondamentali dell’Homo sapiens”, mi spiega Brett Finlay, professore di microbiologia e immunologia all’università della Columbia Britannica, in Canada.

Tra le loro tante funzioni, questi organismi interagiscono con le cellule immunitarie che si trovano nella nostra pelle e gli insegnano a rispondere solo alle minacce più gravi. In generale, andare ad agire sui nostri microbi non è manifestamente né un bene né un male, ma non è neppure un’attività totalmente irrilevante.

Il nostro microbiota segue costantemente un flusso a bassa intensità, a seconda di quale sia il nostro ambiente: le persone che ci circondano, il cibo che mangiamo, i saponi che usiamo, e così via. Ma molti dei nostri ambienti e delle nostre routine quotidiane sono cambiati radicalmente nell’ultimo anno, a causa dell’estrema attenzione all’igiene e alla possibile esposizione a virus di ogni sorta.

La pandemia potrebbe aver accelerato questa perdita di diversità del microbiota

Questo ha quasi sicuramente avuto degli effetti sostanziali sulla diversità del nostro microbiota, al livello individuale e collettivo, dice Finlay. “La preoccupazione di alcuni microbiologi, grosso modo nell’ultimo decennio, è che gli effetti collaterali di un’eccessiva igienizzazione o uso di antibiotici non siano positivi per quanto riguarda microbi con i quali ci siamo evoluti per millenni”. Finlay cita delle correlazioni tra abuso di antibiotici e aumento della diffusione di asma e obesità, oltre che l’esistenza di prove degli effetti benefici dei parti naturali rispetto a quelli cesarei. Esistono anche prove del fatto che possedere un microbiota diversificato sia un indicatore – anche se non necessariamente la causa – di un buono stato di salute.

La pandemia potrebbe aver accelerato questa perdita di diversità. Nelle ultime settimane, Finlay è stato chiamato in causa in vari articoli e notiziari: le persone che lavorano da casa cominciano infatti a fare i conti, preoccupate, con gli effetti a lungo termine del loro esteso isolamento. “L’epidemia di covid-19 ha generato un incredibile esperimento, che è ancora in corso”, dice Finlay. “Abbiamo cambiato totalmente il nostro comportamento, e quando questo accade, cambia anche la nostra esposizione ai microbi: non abbracciamo né baciamo più le persone, non andiamo più in metropolitana, e trascorriamo molto più tempo a casa a fare il pane” (come faceva a saperlo?).

È presto per essere certi delle conseguenze e potrebbero volerci decenni per determinare le correlazioni, spiega Finley, che però è particolarmente preoccupato per le persone giovanissime e molto anziane, che hanno un microbiota più labile. E si dà il caso che queste siano anche le categorie la cui vita quotidiana è stata più colpita dalla pandemia. “I bambini non sono andati all’asilo nido o alla scuola materna”, mi dice. “E gli anziani sono rimasti isolati dai loro nipotini, che solitamente gli sbavano addosso”.

Catene di trasmissione
Non è certo l’unico ad avere simili preoccupazioni. “In qualità di genitore – e non solo come ricercatrice – ero estremamente preoccupata da molti dei progetti di radicale igienizzazione nelle scuole”, mi confida Melissa Melby, antropologa medica all’università del Delaware. “Il numero di persone che dicevano di sottoporsi a igienizzazione ogni qualvolta tornavano a casa era abbastanza incredibile, e abbiamo buoni motivi di credere che questi radicali cambiamenti d’abitudini sanitarie e igieniche avranno un effetto sui nostri microbi, soprattutto quelli dei bambini più piccoli”.

Una conseguenza è già stata osservata: abbiamo interrotto le catene di trasmissione di molti degli elementi patogeni che provocano malattie, compresi virus da raffreddore comune e l’influenza. I casi di questi malattie, lo scorso inverno, sono stati ai loro minimi storici. E ora che ci penso, è passato più di un anno dal mio ultimo raffreddore. Di solito me lo prendevo sempre, nonostante l’attenzione. Gli esperti di microbiota non stanno suggerendo che sia un bene prendersi un sacco di banali raffreddori. Dicono però che essere grati per il calo recente di queste infezioni è un po’ come esprimere gratitudine per non aver camminato di recente su un chiodo arrugginito. Il vecchio adagio “ciò che non ci uccide ci rende più forti” non vale per le infezioni respiratorie più di quanto valga per il tetano.

Una domanda più interessante è se, avendo rinunciato al contatto con gli altri, potrei essermi privato anche di utili microbi. Non ricordo l’ultima volta che ho stretto la mano a qualcuno. Ma potrebbe essere stata l’ultima della mia vita.

Alcuni benefici ci sono stati solo per chi ha accesso a parchi pubblici, a quartieri sicuri e a cibo di qualità

Di recente, un articolo del New York Times parlava della “crescente angoscia” dei ricercatori per questi cambi di abitudini e le loro potenzialmente “irreversibili conseguenze”. Ma altri si sentono più ottimisti. Alcuni effetti potrebbero essere positivi, secondo Martin Blaser, direttore del Centro di medicina e biotecnologia avanzata alla Rutgers university. Intanto perché le persone, non prendendosi il raffreddore, non assumono neanche gli antibiotici che gli verrebbero (impropriamente) prescritti. Molti antibiotici rappresentano terapie fondamentali, che talvolta salvano vite umane. Ma usati troppo spesso possono sconvolgere la diversità dei microbi nel nostro corpo. Se la pandemia contribuirà a mitigare il loro uso eccessivo o scorretto, si tratterà “indubbiamente di una cosa positiva” secondo Blaser.

Per quanti, tra noi, potrebbero avere problemi di microbiota a causa dell’isolamento, Blaser è ottimista. “Il microbiota dei bambini più grandi e degli adulti è molto resistente”, dice. I microbi che acquisiamo da altre persone in fasi più avanzate della vita non sembrano resistere molto a lungo, né modificare in maniera radicale le fondamenta microbiche che ogni persona sviluppa da giovanissima. Le coppie sposate, per esempio, condividono molti meno biomi di quanto facciano una madre e suo figlio.

Disparità di base
Il fatto che la perdita di contatti sociali nell’ultimo anno abbia o meno degli effetti a lungo termine sui nostri microbi dipende da come usciremo dal periodo che stiamo vivendo. Per i bambini più grandi e la maggior parte degli adulti, mi ha rassicurato Finlay, “il danno non è irreversibile”. Questo significa che la diversità microbica può diminuire, ma le fondamenta rimangono solide. Diete ad alto contenuto di fibre possono aiutare a mantenere alta la diversità. “Invece di una dieta di zuccheri e farine bianche, provate a mangiare più noci, semi e legumi”, consiglia Finlay. Trascorrete tempo all’aperto quando possibile e passate del tempo con gli animali. “I cani sono un ottimo modo di ottenere un’esposizione ai microbi”.

Per me è stato tutto molto rassicurante. Durante la pandemia mi sono infatti preso un cane, e ho trascorso un sacco di tempo all’aperto perché non c’era altro da fare. Ho anche mangiato meglio perché cucino più spesso invece di prendermi una fetta di pizza ogni poche ore (come fanno i newyorchesi). Possibile che questa pandemia non sia stata un male per i miei microbi? O addirittura un bene?

La cosa non riguarda solo me. In molte famiglie i bambini più piccoli hanno potuto trascorrere, con i loro genitori e animali domestici, più tempo di quanto avrebbero fatto altrimenti. “In realtà ho passato più tempo all’aperto con la mia famiglia”, mi ha confidato Melby, l’antropologa medica. Ma questi benefici non sono stati uniformi in tutta la popolazione.

Anche se “alcune persone hanno migliorato le loro vite in termini di esposizione ai microbi”, mi spiega, “conosco un sacco di persone che hanno imboccato la direzione opposta”. Tra questi ultimi ci sono quanti non avevano accesso a parchi e quartieri sicuri, cibo di buona qualità e aria pulita. “Penso che il risultato della situazione dipenderà molto dalle risorse che le persone avevano durante la pandemia”.

“Quando si hanno risorse economiche sufficienti, ci sono misure che le persone possono prendere per garantirsi che i loro bambini più piccoli sviluppino un microbiota sano”, dice Tamara Giles-Vernick, studiosa di etnostoria sanitaria all’Istituto Pasteur. In particolare, dice, l’allattamento al seno fin dalla nascita sembra svolgere un ruolo fondamentale nella creazione del microbiota di un bambino. Allattare è stato forse più facile durante la pandemia che in tempi normali, per le persone che lavoravano da casa. Per quanti hanno dovuto trovarsi un secondo lavoro, invece, è vero il contrario.

Un divario di microbiota è evidente anche in tempi senza pandemia. “In generale le comunità di status socioeconomico più basso tendono ad avere un microbiota meno diversificato”, spiga Katherine Amato, specialista di antropologia biologica alla Northwestern University. Nella sua forma più estrema, questa carenza è nota come disbiosi ed è fortemente legata a malattie del metabolismo e autoimmuni. Ma la ricerca sta appena cominciando a fare i primi passi avanti in materia di disparità microbiche, dice Amato. “Elementi quali stress, dieta, turni di lavoro e disturbi del ritmo circadiano possono avere effetti negativi sul microbiota”. Le disparità di base che influenzano il microbiota contribuiscono chiaramente alle discrepanze rilevate tra chi muore di covid-19. Resta da capire se il microbiota stesso sia un fattore determinante di queste dinamiche.

“Molti paesi ad alto reddito hanno deciso di vaccinare per primi gli anziani, il che è straordinariamente importante per ristabilire i normali input microbici”, dice Giles- Vernick. Aprire il prima possibile le case di riposo ai visitatori esterni potrebbe produrre benefici non solo sociali e psicologici. Lo stesso vale per gli spazi condivisi nella natura. “In Francia siamo sottoposti a confinamento ma, a differenza della scorsa primavera, possiamo andare nei parchi”, dice Giles- Vernick. “È una misura davvero importante”.

La sfida che rimane da affrontare è evitare un pensiero manicheo nei confronti dei microbi: questi non sono semplicemente buoni o cattivi, come le persone, o come l’igienizzante Purell. “Si può esagerare in ogni cosa”, mi ricorda Blaser, e questo vale anche per la sterilizzazione degli oggetti. Dovremmo invece porci come obiettivo un’igiene mirata, e concentrarci sui metodi efficaci e provati, che evitano la trasmissione delle malattie. I gel igienizzanti possono essere miracolosi durante un’epidemia di colera. Questo non significa che sia necessario cospargersene dopo ogni chiamata su Zoom (se è quello che fate abitualmente, contattate uno di questi ricercatori).

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul mensile statunitense The Atlantic.

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