Questo articolo è uscito il 3 novembre 2017 nel numero 1229 di Internazionale, a pagina 104. L’originale era uscito su Longreads con il titolo The horizon of desire. Le illustrazioni sono di Chiara Dattola.
“Un uomo scopa una donna. Un uomo: soggetto.Una donna: oggetto”.
The fall, terzo episodio, Insolence and wine
La prima cosa da capire quando si parla di consenso è che il consenso non è, in senso stretto, una cosa. Non nello stesso modo in cui diciamo che il teletrasporto non è una cosa. Il consenso non è una cosa perché non è un oggetto, non si può possedere. Non si può tenere in mano. Non è un dono che può essere offerto e poi brutalmente requisito. Il consenso è uno stato dell’essere. Dare a qualcuno il proprio consenso – dal punto di vista sessuale, politico, sociale – è un po’ come prestargli attenzione. È un processo continuo. È un’interazione tra due esseri umani. Credo che molti uomini e ragazzi non lo capiscano. E credo che questa mancanza di comprensione causi traumi indicibili alle donne, agli uomini e a chi è stufo di quanto la sessualità umana possa ancora ferire.
Dobbiamo parlare di cosa significa realmente consenso e del perché oggi questo dibattito è diventato ancora più importante, non di meno, visto che in questo momento il diritto fondamentale delle donne a decidere del proprio corpo è sotto attacco in tutto il mondo e la Casa Bianca è occupata dal Porco imperatore della cultura dello stupro, al cui confronto il pervertito del vostro quartiere sembra un agnellino. Abbiamo ancora un’idea sbagliata del consenso e dobbiamo cercare di correggere questo errore, per il bene di tutti.
Per spiegarvi tutto questo, racconterò alcune storie. Sono storie vere, alcune un po’ scomode. Ve lo dico solo perché il resto di questo viaggio potrebbe diventare spiacevole e voglio che siate preparati.
Ho un amico dal passato oscuro. È una persona intelligente e coscienziosa, cresciuta nel patriarcato, e sa di aver fatto cose che, pur non essendo reati, hanno ferito alcune persone, e per persone intende delle donne. Il mio amico ha ferito delle donne, non sa come rimediare, e ogni tanto ne parliamo. Alcune settimane fa, nel bel mezzo di un’accorata confessione in un bar, gli sono uscite di bocca le seguenti parole: “Tecnicamente non ho violentato nessuno”.
Tecnicamente. Tecnicamente, il mio amico non pensa di essere uno stupratore. Quel “tecnicamente” mi ha perseguitata per giorni. Non perché non ci credo, al contrario. Non è la prima volta che sento una frase del genere, o qualcosa di simile, uscire dalla bocca di amici maschi benintenzionati che ripercorrono freneticamente la loro vita sessuale dopo essersi resi conto che le donne non si lasciano più bloccare dalla vergogna quando devono fare i nomi di chi ha abusato di loro.
Ho sentito questa frase tante di quelle volte che devo aggiungere un avvertimento per alcuni lettori: se non mi avete dato il permesso di raccontare la vostra storia, non sto parlando di voi.
“Tecnicamente, non ho stuprato nessuno”. Cosa intendeva con “tecnicamente”? Il mio amico mi ha fatto capire che, ripensando agli anni passati a bere e a scopare in giro prima di ripulirsi, considera una fortuna più che un motivo di orgoglio il fatto di non aver mai commesso, per quanto gli risulta, gravi aggressioni sessuali. Come per ogni altro uomo cresciuto nell’ultimo decennio, la sua idea di consenso è a dir poco grezza: il sesso è qualcosa che devi convincere le donne a farsi fare. Se non sono in stato d’incoscienza, non dicono di no o non cercano di respingerti, probabilmente è tutto a posto.
Per tutta la strada di ritorno dal bar ho pensato al consenso e al perché questo concetto faccia ancora così paura a tutte le persone che cercano di non vedere quello che non va nella moralità moderna. Ho pensato a tutte le situazioni in cui, no, tecnicamente nessuno aveva commesso un crimine e, sì, tecnicamente quello che era successo era consensuale. Ma forse qualcuno aveva spinto le cose fino a un punto di rottura. E forse qualcuno si era lasciato fare delle cose perché, per qualche ragione, non aveva saputo dire di no.
Quel “tecnicamente”, ovviamente, non si sente dire solo dagli uomini. Lo stesso “tecnicamente” lo dicono, in chiave diversa, ragazze e donne che non vogliono pensare in certi termini a quello che gli è successo, anche se il fatto che è successo, con o senza il loro permesso, è in sé il problema. Impariamo, così come fanno gli uomini, che i nostri istinti riguardo a ciò che sentiamo e viviamo non sono affidabili. Impariamo che il nostro desiderio è pericoloso e lo soffochiamo fino a che non siamo più in grado di riconoscere la differenza tra volere ed essere volute. Impariamo che la nostra sessualità è deplorevole e la reprimiamo, diventiamo alienate dai nostri corpi.
Ci sono state volte in cui ho detto a me stessa che tecnicamente questa o quella persona non aveva commesso nessun reato, quindi tecnicamente non avevo ragione di sentirmi usata come sputacchiera umana, e tecnicamente l’avevo invitata io a casa quindi non mi sarei dovuta aspettare niente di diverso, quindi, tecnicamente, non c’era nessun motivo per sentirmi arrabbiata e sconvolta, perché in definitiva cos’è la sessualità femminile se non una serie di tecnicismi da superare?
Il problema è che tecnicamente non funziona del tutto. “Be’, almeno non ho aggredito nessuno”, non è uno standard elevato di moralità sessuale, e non lo è mai stato. Ovviamente bisogna cominciare da qualche parte e “prova a non stuprare nessuna” è un punto di partenza come un altro. Ma la cosa non può finire lì. I nostri punti di riferimento di un comportamento sociale e sessuale dignitoso non dovrebbero essere definiti semplicemente da ciò che ci fa vergognare in pubblico o può farci arrestare, perché non siamo più bambini e possiamo fare di meglio.
Una cultura del consenso significa proprio questo. Significa aspettarsi di più. Pretendere di più. Significa considerarsi reciprocamente esseri umani complessi dotati della facoltà di agire e di provare desiderio, non solo in un dato momento, ma in maniera continuativa. Significa adeguare le nostre idee di relazione e di sessualità al fatto che non basta strappare un “sì” riluttante a un altro essere umano. Idealmente dovreste volere che l’altro dica di “sì” ancora, e ancora, e che intenda dirlo ogni volta. Non solo perché così è più sexy (il consenso non dovrebbe essere sexy per essere importante), ma perché in fin dei conti la sessualità non dovrebbe ridursi a un dibattito su come farla franca in un modo che si possa definire consensuale.
Detta così la questione sembra semplice. Semplice da capire. Ma ci sono moltissime idee semplici che ci hanno insegnato a non capire e molte altre che ci ostiniamo a non capire, soprattutto quando è a rischio la nostra immagine di esseri umani perbene; e questa è la condizione in cui si trovano molti degli uomini e dei ragazzi che conosco. Sono frastornati. A disagio. Combattono con lo spettro delle loro azioni sbagliate. La maggior parte di loro è spaventata soprattutto da quanto velocemente stanno cambiando le regole di base per essere una persona degna.
Parliamo del farla franca. Parliamo di cosa succede in una società dove i corpi delle donne sono considerati una merce che gli uomini si contendono. Parliamo della cultura dello stupro. Nominare e denunciare la cultura dello stupro è stata una delle azioni femministe più importanti degli ultimi tempi, ma anche una delle più discusse e fraintese. “Cultura dello stupro” non descrive necessariamente una società dove lo stupro è la routine, anche se è incredibilmente diffuso. La cultura dello stupro descrive il processo per cui lo stupro e le molestie sessuali vengono banalizzati e giustificati, il processo per cui l’agire sessuale delle donne è costantemente negato e ci si aspetta che donne e ragazze vivano nella paura di subire uno stupro e cerchino in ogni modo di proteggersi.
Un processo dove si suppone che gli uomini abbiano l’autocontrollo erotico di un gibbone con un barattolo di Viagra in mano, che siano creature da lodare per il semplice fatto che si trattengono dal lanciare la loro cacca in giro, invece di essere incoraggiate a usare il pensiero critico. (Non ho mai capito perché molti più uomini non si offendono per questa supposizione, perché molti più uomini non mettono in discussione il fatto che avere un pene non compromette la loro capacità di agire moralmente. Ma poi, di nuovo, questo vorrebbe dire che tutte le volte che si comportano da brave persone nessuno gli darebbe una medaglia d’oro. Chi non vorrebbe vivere in un mondo dove per essere considerati dei ragazzi onesti basta non essere misogini e violenti? Ah, sì… le donne).
Non è necessario aver subìto uno stupro per subire le conseguenze della cultura dello stupro. Non è necessario essere uno stupratore seriale per perpetuare la cultura dello stupro. Non è necessario essere un convinto misogino per beneficiare della cultura dello stupro. Sono sinceramente convinta che un numero enorme di uomini eterosessuali e bisessuali ragionino sulla base di preconcetti sul sesso e sulla sessualità che non hanno mai analizzato a fondo. Preconcetti su come sono fatte le donne, cosa fanno e cosa vogliono. Preconcetti come: gli uomini vogliono sesso e le donne sono sesso. Gli uomini prendono, e le donne devono essere convinte a dare. Gli uomini scopano le donne; le donne si fanno scopare. Le donne sono responsabili per aver messo questi paletti, e se gli uomini li oltrepassano, non è colpa loro: i maschi sono fatti così!
Quello che confonde molti uomini, anche uomini di successo e sensibili, è che le donne dovrebbero essere prese sul serio quando esprimono le loro scelte. Ora come ora, uno dei princìpi fondamentali, raramente articolato ma costantemente difeso, della cultura dello stupro è: il diritto degli uomini ai rapporti sessuali è importante quanto la libertà di scelta delle donne sui loro corpi, se non di più. Perciò le donne sono tenute a sorvegliare i confini della sessualità e a controllarsi in situazioni in cui agli uomini non è richiesto farlo, ma non possono e non devono essere credute quando fanno scelte che potrebbero ostacolare la possibilità degli uomini di infilarlo dove vogliono e continuare a pensare di essere delle brave persone, anche con il senno di poi. L’agire delle donne, le loro scelte, i loro desideri sono sì importanti, ma meno di altre cose, e sarà sempre così.
Se si accetta l’idea che una donna ha diritto assoluto di scelta nella sfera sessuale, bisogna anche tenere in conto l’eventualità che non faccia la scelta desiderata dall’uomo. Se è veramente libera di dire no, anche se prima ha detto di sì, anche se è nuda nel letto, anche se siete sposati da vent’anni, può capitare che alla fine non si scopa. E questo è il piccolo dosso che troppi ragazzi scambiano per una vetta morale e su cui si schiantano.
Alcune persone, perlopiù uomini, sono confuse dal fatto che le donne si lamentano per le avances ricevute da potenziali investitori o perché devono cacciare di casa viscidi individui con cui pensavano di fare un semplice incontro di lavoro. Del resto, quasi nessuna di queste accuse implica una penetrazione violenta da parte di uno sconosciuto. È così che lo stupro è descritto nei film, dove il cattivo si riconosce dalla barba sospetta e da un’inquietante musica che accompagna il suo ingresso in scena. Ovviamente questo non ha niente a che vedere con te o con i tuoi amici, perché tu sei l’eroe della tua narrazione, e gli eroi non stuprano.
Nel mondo reale, mentre gli scandali sessuali dilagano negli Stati Uniti, quasi nessuno è direttamente minacciato di finire in prigione per violenza sessuale. Le lamentele riguardano le porcate di tutti i giorni e le vigliaccate che sono state tollerate in decenni di dominazione maschile: palpeggiamenti, commenti osceni, capi che pretendono favori sessuali, l’onnipresente e tacita idea che le donne sono in primo luogo, e soprattutto, oggetti del desiderio, e non individui con propri desideri, sessuali e professionali.
Siamo circondati da così tante immagini di sessualità che è facile pensare a noi stessi come persone liberate. Ma la liberazione, per definizione, deve riguardare tutti. Invece nel bombardamento di messaggi del marketing, della cultura pop e della pornografia dominante l’unico desiderio accettabile va in una sola direzione: dall’uomo verso la donna. Si tratta di un’omogenea e disumanizzante visione del sesso eterosessuale, una storia semplice dove solo gli uomini agiscono e dove le donne sono dei punti passivi in uno spettro di scopabilità. Ma questa è licenza sessuale, non liberazione. La libertà sessuale di oggi somiglia al libero mercato, che sostanzialmente garantisce ai potenti la libertà di dettar legge, e a tutti gli altri la libertà di tacere e sorridere. Siamo arrivati ad accettare, come in altri ambiti della nostra vita, una visione della libertà in cui l’illusione della scelta è solo una copertura che permette un’indicibile violenza quotidiana.
La cultura del consenso, chiamata così per la prima volta dall’attivista e critica femminista Kitty Stryker, è l’alternativa a tutto questo. Resistere alla cultura dello stupro e dell’abuso significa molto di più del diritto individuale di dire di no, anche se è un punto di partenza dignitoso e un concetto difficile da concepire per chi ha il cervello fuso dai siti porno. E c’è un motivo per questo. Se l’idea di un reale, continuo ed entusiasta consenso sessuale è così oltraggiosa, è perché l’agire sessuale femminile – inteso come desiderio attivo – fa ancora paura. La nostra cultura lascia pochissimo spazio all’idea che le donne e le persone queer, quando ne hanno la possibilità, vogliono fare sesso e gli piace farlo tanto quanto agli uomini.
Molto prima di essere abbastanza grandi da cominciare a pensare di farlo, le ragazze sono allenate a immaginare il sesso come qualcosa che subiranno, piuttosto che qualcosa che potrebbe dargli piacere. Cresciamo con l’ammonimento che la sessualità in generale e l’eterosessualità in particolare sono qualcosa di violento e pericoloso; il sesso è qualcosa da evitare. E se siamo in grado di riconoscere il nostro desiderio sessuale, ci dicono che siamo strane, sporche e cattive.
Il branco di animali da tastiera che affolla le discussioni misogine sul web chiedendosi come mai è così difficile trovare qualcuna da scopare, perché le donne non si fanno avanti o perché usiamo il sesso come merce di scambio, dovrebbero ricordarsi che non sono state le donne etero a inventare quelle regole. Molte donne sono diventate esperte nel soffocare i propri desideri perché reprimere la sessualità è l’unico potere sociale che hanno, e anche questo potere ci viene concesso con riluttanza all’interno di una cultura che ci chiama troie, stronze e puttane quando non diciamo di no e che spesso non ci crede quando lo facciamo. Anche questa è cultura dello stupro. La cultura dello stupro non implica la demonizzazione degli uomini, ma il controllo della sessualità femminile. È contro il sesso e contro il piacere. Ci insegna a negare i nostri desideri come una strategia di adattamento per sopravvivere in un mondo sessista.
Ci sono molte cose che le ragazze perbene non dovrebbero fare. Le ragazze perbene sono sexy, ma non sessuali. Le ragazze perbene parlano, se devono, di quando sono state vittime, ma non di desiderio. Le ragazze perbene sanno che il consenso sessuale è una merce di scambio e che non bisogna concedersi troppo liberamente per non svalutare la moneta collettiva con la quale si misura il nostro valore sociale.
Se diamo l’impressione che potrebbe piacerci il sesso, o che preferiamo decidere chi, come e quando scopare, diventiamo delle disgustose troie, che meritano le violenze che subiscono. Almeno questo è quello che alcuni uomini mi scrivono ogni giorno su internet e, se sono le stesse cose che dicono a voi, vorrei cambiare i termini di questa conversazione. Non voglio più perdere tempo a smentire le psicocazzate criptodarwiniane di quelli che scrivono che tutte le donne vogliono essere tenute ferme e sbattute ripetutamente finché non la smettono di dire bugie sul divario salariale e cominciano a fare figli cristiani. È quel tipo di muffa mentale invadente e ipocrita che cresce via via che riceve ossigeno, e per questo i termini del discorso devono cambiare. Per questo è necessario, ora più che mai, parlare di agire, di consenso e di desiderio.
Ecco la seconda storia scomoda di cui parlavo. Un paio di settimane fa ero a letto con un amico, e dopo che le cose erano andate avanti e si erano concluse, lui ha espresso un pigro apprezzamento per quanto gli era sembrato che avessi goduto: “Ti è veramente piaciuto. Godevi davvero!”. Era sinceramente sorpreso. E io ero sorpresa che lui fosse sorpreso, anche se avevo già sentito commenti del genere. Questo apprezzamento è accompagnato spesso da un certo disgusto: dopotutto ci viene ancora insegnato che le donne a cui piace scopare sono in qualche modo sporche, inutili e meno preziose. È sicuramente quello che hanno insegnato a me. La mia esperienza personale è che gli uomini che si sorprendono del vostro entusiasmo sessuale sono i primi a trovarlo sgradevole, a scomparire quando una donna mostra di aver saputo gestire la sua sessualità abbastanza bene da esprimerla. Molti uomini che si sono stupiti del mio desiderio subito dopo hanno smesso di interessarsi a me. Se non dovevano inseguirmi, se non mi fingevo riluttante, se mi annoiavo a tenerli in sospeso fino al terzo appuntamento perché ero arrapata, impegnata o perché gli appuntamenti sono strani, e per questo preferisco andare a letto e scoprire se i corpi si piacciono… be’, automaticamente venivo relegata al ruolo di amica, spesso con un breve discorso su quanto sono figa e diversa da tutte le altre.
Ovviamente il consenso è anche questo. Nessuno deve continuare una relazione amorosa se non vuole, per nessuna ragione. “Non voglio” è abbastanza. E non sto criticando il fatto che si diventa amici: è una condizione piacevole, dove nessuno si aspetta che indossi biancheria particolare e tutti i giri sono gratis.
Tuttavia di recente mi è capitato di incontrare parecchi uomini che si sono chiamati fuori appena si sono resi conti che non era la tradizionale relazione predatore/preda, non appena gli facevo capire che anch’io li volevo. Trovavano minaccioso il fatto che dichiarassi apertamente il mio desiderio, al di là che riuscissi a realizzarlo o no, come se mi fossi messa improvvisamente una maschera da clown o avessi impugnato una frusta con un’espressione speranzosa. In realtà sono una persona convenzionale in maniera imbarazzante, ma pure io so che il consenso non è una perversione.
Come possiamo discutere di consenso quando il desiderio femminile attivo fa passare la voglia all’uomo? L’idea che una donna possa effettivamente volere e godere del sesso eterosessuale ci sta mettendo ancora tempo a (ehm) penetrare. Anche le donne crescono imparando che il loro desiderio è sporco e pericoloso. Lo comprimiamo e lo estirpiamo, anche in quei momenti. Impariamo che per essere rispettate, anche nell’intimità dobbiamo a volte fingerci riluttanti, lasciarci inseguire e persuadere. Tutto questo ovviamente complica un situazione già difficile. Se vi è stato detto che le donne attraenti spesso si comportano come se non volessero scoparvi, come potete rispettare i desideri di quelle che davvero non vogliono fare sesso? Se avete erotizzato l’esitazione femminile, come potete improvvisamente passare a una cultura di reale consenso, dove la cosa giusta da fare di fronte a un rifiuto è lasciar perdere?
È una domanda retorica, perché è lecito presupporre che le persone si comportino con una certa decenza, ma questo non significa che la questione del consenso non sia complicata. Il problema dell’eterosessualità moderna è che ancora ci viene insegnato che la sincerità ammazza un’erezione e che “le cose sono meglio con un po’ di mistero”. Tutto questo ci lascia in preda a complessi e inibizioni tali che non riusciamo a riconoscere l’abuso per quello che è, e ancora meno il consenso.
E questo succede perché qualsiasi dimostrazione attiva di desiderio femminile ha ancora il potere di sconvolgere a livello politico e spaventare a livello personale. Non intendo dire che tutti i ragazzi si aspettano che le donne si comportino come trofei di caccia a letto. Nella mia esperienza molti sperano di ottenere certe manifestazioni di piacere, ma si aspettano anche che siano una performance. Oggi l’orgasmo femminile è riconosciuto, quasi atteso, ma deve rispettare la sua funzione: il beneficio e la gloria dei partner. L’orgasmo non è per le donne: da qui l’ansia riguardo alla possibilità che la donna lo raggiunga e la spinta a fingerlo per non offendere l’orgoglio maschile. Quando si parla di soddisfazione maschile, si dà per scontato che il piacere della donna sia solo parte del servizio.
Considerando quello che sta succedendo nel mondo al di là delle nostre camere da letto, può sembrare il momento sbagliato per parlare di desiderio e del fatto che scopare è divertente. Molte di noi potrebbero essere tentate di accontentarsi di non essere state costrette a mettere al mondo un essere umano contro la loro volontà, come nel caso di quelle ragazze che non hanno ottenuto dal padre il permesso di abortire. Potrebbe sembrare che chiediamo troppo quando pretendiamo di essere trattate come esseri umani dotati di una completa e pari capacità di agire, se nel frattempo rischiamo di essere licenziate dal puritano che ci paga lo stipendio perché abbiamo chiesto di usare un contraccettivo. È difficile pensare agli orizzonti del desiderio quando la metà inferiore del tuo corpo sta soffrendo per la spirale appena inserita, sperando che sopravviverà al neofascismo, cosa che sicuramente non succederà alla tua salute mentale.
Potremmo essere tentate di tacere sul desiderio, il piacere e la continenza sessuale femminile, circondate come siamo da insidiosi patriarchi e gretti uomini di una certa età che si arrogano il diritto di nascita di afferrare il mondo per la vagina. Ma se non parliamo di desiderio, di azione, di consenso, allora combattiamo una battaglia in ritirata. È una lotta reale, che ha conseguenze sulla nostra autonomia e autodeterminazione, sulla nostra economia e sul nostro potere politico. La battaglia per il desiderio e l’agire femminile va oltre la camera da letto, ma la stiamo perdendo.
È impossibile “vincere” il sesso. L’erotismo fascista dei bambini-uomini frustrati di oggi vede la sessualità come una battaglia combattuta sui corpi delle donne, un atto di dominazione e di conquista da cui un giorno emergeranno come re. Ma così come il consenso non è una cosa, la sessualità non è il tipo di battaglia che qualcuno può vincere o perdere. L’idea della battaglia dei sessi, combattuta nelle camere da letto e nelle cucine, intorno ai tavoli dei ristoranti nel mondo, nasconde la verità che o vincono tutti o non vince nessuno.
Se vogliamo rovesciare questa battaglia, dobbiamo ripensare il consenso. Dobbiamo fare i conti con l’idea del consenso come qualcosa di continuo e negoziabile, anziché un oggetto, un contratto che può essere falsificato e discusso in un tribunale. Se gli uomini e le donne vogliono vivere insieme in questo strano nuovo mondo senza distruggersi reciprocamente, il consenso deve essere inteso come qualcosa di più.
La nostra memoria culturale collettiva porta ancora le macchie del passato recente, e alcune sono difficili da rimuovere dalle lenzuola tra cui dormiamo e sogniamo. Sentiamo spesso dire che fino a poco tempo fa non era un crimine stuprare la propria moglie: con il matrimonio la donna aveva già acconsentito a tutto quello che il marito poteva farle, a parte l’omicidio. Lei aveva detto di sì una volta sola, e quel sì poi valeva per tutta la vita. Molti di noi hanno superato quest’idea e pensano che si possa davvero dire di no, anche se si è detto di sì in passato. Il consenso è molto di più dell’assenza di un no. È la possibilità di un sì reale. È la presenza di un agire umano. È l’orizzonte del desiderio.
Sembra quasi che siamo in bilico, come società, sul margine di un potente cambiamento, anche se rischiamo di crollare nelle certezze violente e meschine del passato. Potremmo smettere di interrogarci su come fermare i rituali di violenza sessuale nei campus universitari. Di insistere sull’importanza del consenso come base per il piacere e il desiderio. Di denunciare stupratori e molestatori. Di parlare delle molestie come modalità operativa nella Silicon valley, a Hollywood, nelle organizzazioni politiche, nelle redazioni, nelle case, nelle scuole e nelle comunità. Potremmo minacciare, mettere alle strette e isolare le sopravvissute finché la pressione su di loro non sarà troppa perché possano parlare, finché l’accusa di stupro sulla vita di un uomo non tornerà a essere più importante dell’effetto di uno stupro sulla vita di una donna.
Oppure potremmo fare un passo verso l’ignoto. Potremmo provare qualcosa di nuovo. Potremmo provare a diventare migliori di quanto siamo mai stati. Potremmo andare oltre il semplice “non ficcarci nei guai”, o “non commettere attivamente uno stupro o una molestia”. Potremmo cominciare a parlare di desiderio e di consenso, come se importassero davvero.
È importante che gli stupratori abbiano nuovamente paura delle conseguenze delle loro azioni. Ma questo non è il modo di finire una conversazione. Per il bene di tutti – per i nostri corpi, le nostre vite e per le nostre relazioni – dobbiamo fare di più, andare oltre quel “tecnicamente”.
(Traduzione di Chiara Martini)
Questo articolo è uscito il 3 novembre 2017 nel numero 1229 di Internazionale, a pagina 104. L’originale era uscito su Longreads con il titolo The horizon of desire. Le illustrazioni sono di Chiara Dattola.
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