C’è una teoria, chiamata “effetto boomerang imperiale”, secondo cui le tecniche sviluppate per reprimere i territori e i popoli colonizzati finiscono inevitabilmente per essere impiegate anche sul fronte interno e per danneggiare i paesi colonizzatori. In un primo momento questi strumenti vengono usati contro tutti quelli che sono considerati inferiori, ma in seguito colpiscono anche i cittadini che godono di pieni diritti e privilegi, quando osano mettere in discussione l’autorità. In sintesi, ciò che inizialmente sembrava lontano diventa pericolosamente vicino e familiare.

Il secondo mandato di Donald Trump è un esempio perfetto di come i sistemi costruiti per colpire le persone vulnerabili tendono a divorare anche chi sembrava al riparo dagli abusi. Questo processo si sviluppa in tre modi. Il primo prevede la creazione di un sistema di caste interno che rispecchia quello applicato fuori dai confini del paese. Nel caso degli Stati Uniti di oggi, questo sviluppo è illustrato dal trattamento riservato agli stranieri con un permesso di soggiorno e un visto di lavoro che hanno criticato il governo sulla guerra nella Striscia di Gaza.

Secondo l’amministrazione Trump, queste persone hanno fatto cose per cui meritano di essere arrestate, detenute ed espulse, quindi ricevono un trattamento analogo a quello riservato da Washington ai palestinesi. Questo meccanismo rivela la fragilità di garanzie come permessi di soggiorno e visti permanenti. Il fatto di essere sposati con cittadini statunitensi o di avere figli statunitensi non dà più garanzie. I diritti possono essere eliminati nel caso in cui qualcuno che viene dalla periferia decide di rivendicare gli stessi diritti dei cittadini di prima classe.

Trump ha giustificato i suoi provvedimenti invocando l’Alien enemies act del 1798, dimostrando che negli Stati Uniti vige un sistema basato su due livelli. Oggi alcune leggi introdotte centinaia di anni fa e usate solo per arrestare cittadini stranieri stanno creando una seconda classe di esseri umani. Franklin Roosevelt fece ricorso all’Alien enemies act durante la seconda guerra mondiale per creare i campi di prigionia dove furono rinchiuse più di centomila persone di origine giapponese. Un altro decreto firmato da Roosevelt per consentire l’internamento di cittadini americani è stato cancellato dalla corte suprema solo nel 2018. Se fosse ancora in vigore Trump lo avrebbe sicuramente usato per arrestare e incarcerare anche i cittadini statunitensi sulla base delle loro opinioni politiche. Questo ci ricorda che un’infrastruttura giuridica può sempre essere riattivata.

Succede qualcosa di simile con il sistema dell’immigrazione, che è già di per sé opaco e punitivo. Questa infrastruttura è al centro del secondo meccanismo con cui le pratiche discriminatorie vengono estese sul fronte interno. Il sistema migratorio è un enorme apparato composto da una grande burocrazia, da centri di detenzione e compagnie private che hanno il compito di gestire e imprigionare gli immigrati irregolari. Il sistema era pieno di storture già prima di Trump. Gli agenti della polizia di frontiera, per esempio, hanno piena autorità nel decidere chi può entrare negli Stati Uniti a prescindere dai visti concessi dalle ambasciate all’estero, e gli agenti della dogana possono controllare qualsiasi dispositivo. Se una persona viene arrestata ed espulsa, l’intero processo può completarsi senza che abbia mai avuto accesso a un avvocato o sia comparsa davanti a un giudice. Ci si può ritrovare per settimane in questo limbo giuridico.

L’attacco di Trump alla libertà d’espressione
L’arresto di Mahmoud Khalil, uno studente palestinese con un visto permanente, fa parte di un piano della Casa Bianca per colpire le università e reprimere il dissenso

Se un sistema del genere finisce nelle mani di un governo che punta a indebolire le garanzie legali pensate per arginarne le tendenze peggiori, nasce la ricetta perfetta per l’impunità e gli abusi. Nel suo primo giorno da presidente, Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha concesso agli agenti di frontiera maggiori poteri “nell’identificare tutte le risorse che possono essere usate per garantire che la situazione di ogni straniero intenzionato a entrare negli Stati Uniti o già residente negli Stati Uniti sia analizzata con la massima attenzione possibile”.

La promessa di aumentare le espulsioni dei migranti irregolari, centrale nella campagna elettorale di Trump, ha prodotto un grande rafforzamento del raggio d’azione dell’Immigration and customs enforcement (Ice), l’agenzia responsabile del controllo delle frontiere. La rete è diventata talmente grande da intrappolare molte più persone del previsto, cioè non più solo chi è vulnerabile a causa del colore della pelle o delle opinioni politiche.

Nelle ultime settimane alcuni cittadini tedeschi sono stati arrestati mentre cercavano di entrare in modo perfettamente legale nel paese attraverso il confine meridionale. Dopo una detenzione durata settimane sono stati espulsi. Jasmine Mooney, cittadina canadese in possesso di un visto di lavoro, è stata arrestata, detenuta per due settimane e invitata a “prepararsi mentalmente” per “mesi di reclusione”. A uno scienziato francese è stato negato l’ingresso negli Stati Uniti quando gli agenti hanno controllato il suo telefono trovando messaggi critici nei confronti di Trump. Le persone che sono entrate nei centri di detenzione, da Mooney fino a Mahmoud Khalil (lo studente della Columbia university arrestato anche se in possesso di un visto permanente) hanno descritto le condizioni di vita all’interno delle strutture. “La giustizia si ferma ai confini delle strutture per l’immigrazione di questo paese”, ha scritto Khalil.

Arriviamo al terzo meccanismo dell’effetto boomerang: l’erosione delle norme e delle garanzie finisce per cannibalizzare il sistema politico ideato per governare e proteggere le persone che ne fanno parte. Il 18 marzo Trump ha chiesto l’impeachment di un giudice federale che aveva bloccato temporaneamente l’espulsione di centinaia di migranti.

Lo scontro fra Trump e la giustizia ha scatenato una crisi costituzionale che sta scuotendo le fondamenta della politica americana. Il sistema di pesi e contrappesi degli Stati Uniti – basato sull’uguaglianza tra il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario – è minacciato dall’aggressività di Trump e dal suo desiderio di sottomettere tutto e tutti, mentre la sua amministrazione limita la libertà d’espressione garantita dalla costituzione.

È un comportamento comune a tutti i regimi autoritari o che cercano di diventarlo. Per plasmare un paese secondo i propri interessi, un leader autoritario deve neutralizzare e reprimere un numero crescente di categorie sociali. La forma di governo imperiale è il prototipo di ciò che è necessario per esercitare un controllo totale in presenza di un dissenso di massa. Il problema è che tutti i sistemi di governo in cui alcuni poteri prendono di mira una frangia consistente della popolazione alla fine non possono sopravvivere senza che gli stessi poteri assumano il controllo dell’intero apparato. Una nazione che nega i propri ideali ad alcuni individui indesiderati finisce inevitabilmente per negarli a tutti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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