Questo articolo è uscito nel gennaio 2020 sul numero 4 di Internazionale Kids.
Nel 1783 un presidente degli Stati Uniti giocò a scacchi con un robot. È successo davvero: il robot giocò contro Benjamin Franklin e vinse. Nel 1809 il robot sconfisse anche Napoleone Bonaparte. Com’è possibile? Forse un genio inventò il primo robot secoli fa? No, ma questa domanda nasconde una storia incredibile: quella del “turco”, una delle più grandi truffe della storia della tecnologia.
Nel gioco degli scacchi il turco incuteva timore. Era una figura di legno seduta dietro a un tavolo, vestita con abiti orientali e il turbante. Dentro, però, nascondeva rotelle e ingranaggi meccanici. Quest’umanoide artificiale somigliava in tutto e per tutto a una persona. Ogni volta che il suo avversario finiva di muovere gli scacchi, il turco spostava il suo pezzo sulla scacchiera, muovendo il braccio e le dita di legno con destrezza. Giocava in modo brillante e sembrava quasi che provasse dei sentimenti. Muoveva la testa e ruotava gli occhi lanciando sguardi di sfida all’avversario.
Se un giocatore aspettava un po’ troppo a fare la sua mossa, il turco tamburellava le dita sul tavolo. Quando invece era certo della vittoria, annuiva con la testa. E aveva anche carattere. Durante la partita con Napoleone, quest’ultimo fece una mossa scorretta. L’automa andò su tutte le furie e gettò all’aria i pezzi.
Che meraviglia
In molti sospettavano un imbroglio, ma all’inizio di ogni partita la macchina veniva aperta per mostrare agli spettatori l’interno del marchingegno. Apparentemente dentro non c’era nulla. Il suo inventore era un esperto di tecnologia. L’ingegnere Wolfgang von Kempelen aveva progettato macchine di tutti i tipi, compresi ponti e motori a vapore. Aveva anche inventato una macchina capace di riprodurre la voce umana. Anche il turco parlava. Quando vinceva sussurrava: “Échec!”, che in francese significa “Scacco!”.
Ma era davvero capace di pensare? Oggi riteniamo che la robotica sia una scienza moderna, eppure già nell’ottocento esistevano androidi così stupefacenti da attirare spettatori in tutto il mondo. Per più di sessant’anni il turco incantò gli spettatori riempiendoli di meraviglia.
Edgar Allan Poe lo vide in uno spettacolo a Richmond, in Virginia, nel 1835. Oltre a essere un grande scrittore, Poe era un crittografo, cioè un esperto di linguaggi in codice, e uno scienziato autodidatta. Poe capì che nel marchingegno poteva entrare una persona e ne intuì il funzionamento. Ipotizzò che al suo interno ci fosse un uomo esperto di scacchi che dirigeva l’automa grazie a un sistema di leve, nascosto in un compartimento a scomparsa. Dopo l’incendio che distrusse il turco nel 1854, il suo ultimo proprietario confermò la teoria di Poe.
Ma allora il turco era solo un falso? Non proprio. Gli spettatori che lo videro all’opera non furono mai delusi. In fondo stavano al gioco, come quando si assiste a uno spettacolo di magia. Sappiamo bene che si tratta di trucchi, che niente è vero, eppure ne siamo affascinati. E poi successe qualcosa di sorprendente. L’uomo-meccanico, per quanto fasullo, contribuì a ispirare nuove invenzioni. Il matematico Charles Babbage giocò e perse due volte contro il turco, ma l’idea che una macchina potesse pensare lo aiutò a inventare il computer. L’inventore Alexander Graham Bell studiò il meccanismo di riproduzione della voce umana del turco nel corso delle ricerche che lo portarono a inventare il telefono.
Questi innovatori sapevano bene che il turco era un falso, ma erano attirati dall’idea di futuro che la macchina suggeriva. Come sarebbe il mondo se oggetti fabbricati dagli esseri umani cominciassero a pensare? Benché non fosse una macchina pensante, il turco era un prodigio della meccanica.
Il suo corpo snodato funzionava come i robot. Oggi ci sono super computer che battono i campioni di scacchi e robot che cantano. E magari anche tu giochi contro un’intelligenza artificiale, sul tablet o sullo smartphone.
Il turco ha mantenuto le sue promesse e sembra quasi di sentirlo mentre sussurra con voce metallica: “Scacco matto! Ho vinto”.
(Traduzione di Chiara Pazzaglia)
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