Mi arrampico lungo la ripida Calçada da Glória seguendo le rotaie della funicolare, le mie suole di pelle scivolano sui ciottoli di marmo, simili a blocchi di roccia vulcanica. Mi scivola un piede e mi aggrappo alla rotaia rotta. Questa impressionante gola urbana divide la città vecchia di Lisbona. I muri sono ricoperti da un graffito che raffigura un turbinio di linee aggrovigliate realizzate con i colori anarchici delle bombolette spray.
Mi incontro con Parker fuori da Alfaia. La sedia di alluminio è così inclinata che quando mi siedo scivolo all’indietro. Ci portano al tavolo un assortimento di formaggi, salumi e olive. Vale la pena di andare a Lisbona solo per mangiare il formaggio Azeitao. Avvolta nella mussola la crosta stagionata somiglia alla pelle di una mummia egizia.
La parte superiore è stata tagliata via e nell’interno liquido c’è un cucchiaino. Questo formaggio nasce sulle più alte montagne del Portogallo, dal latte di pecora non pastorizzato, ed è prodotto con il cardo selvatico al posto del caglio. Lo facciamo gocciolare come miele sul pane fresco, l’odore forte ci penetra nelle narici e il sapore piccante investe i nostri palati.
Arriva un piatto di polpi viola, conditi con un chili leggero. Il papà di Parker è un botanico e mi parla della scala di Scoville, che viene usata per misurare il grado di piccantezza del chili. Un jalapeño è intorno a tremila, mentre un peperone è zero. Quello che stiamo mangiando dovrebbe essere circa duecento. Alla nostra destra c’è la finestra della cucina.
File di branzini argentei guardano oltre le nostre spalle, verso le fotografie sbiadite delle acconciature dell’anno scorso, attaccate alla vetrina del parrucchiere dall’altra parte della strada. Lo chef ci vede e ficca il pollice e l’indice negli occhi di un salmone dalla testa appuntita, sollevandolo per farcelo vedere e spalancandogli le branchie in un ghigno floscio.
Ordiniamo pesce. La Caldeirada de peixes do mar è preparata con diversi tipi di pesce tagliati a pezzetti e cucinati con pomodoro, cipolla, aglio, vino bianco, peperoni e patate. Pezzi di varietà sconosciute galleggiano in una salsa che sembra aver bollito per tutta la notte. Nel caso in cui le gialle patate non abbiano assorbito ogni sapore, ci sono fette di pane zuppe sul fondo, sotto le lische. Raschiamo le ultime gocce di Azeitao dalla buccia. Scoliamo l’ultima goccia di vino rosso. I ciottoli sembrano più scivolosi quando scendiamo.
Internazionale, numero 649, 6 luglio 2006
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