La storia di un uomo che rivendica il diritto di vivere nella sua terra, raccontata da Amira Hass.

Ho scoperto il servizio di catering perfetto, da consigliare a chiunque non abbia il tempo di cucinare per gli ospiti: il negozio di pasta fresca Umm Elias. È stato Elias a parlarmi della piccola attività della madre, che è di origini armene: i genitori e i nonni si trasferirono in Palestina negli anni venti del secolo scorso dopo essere sopravvissuti al genocidio in Turchia.

Non conosco Elias personalmente. Ci siamo parlati solo al telefono: io da casa, lui da un carcere israeliano dove sono rinchiusi gli stranieri sorpresi senza visto. Presto sarà espulso. Ma Elias non è uno “straniero”. È nato quarant’anni fa nella città vecchia di Gerusalemme. Dopo l’annessione del 1967 è diventato un “residente permanente”: uno status che si applica a chi si trasferisce in un paese senza prenderne la cittadinanza. Molti palestinesi hanno rifiutato di diventare cittadini dello stato occupante e sono rimasti residenti: una posizione debole, che dal 1995 le autorità israeliane non riconoscono più. Così molti palestinesi sono stati costretti a lasciare la città (e il paese).

Elias ha vissuto alcuni anni negli Stati Uniti, ma dopo l’11 settembre 2001 ha deciso di tornare. Per rientrare ha usato un documento di viaggio statunitense su cui era stampato un visto turistico israeliano: un turista nella sua terra. Quattro anni dopo, nel gennaio 2010, a un posto di blocco a sud di Ramallah un soldato ha sequestrato il suo documento d’identità e lo ha arrestato.

Un bravo avvocato sta seguendo il suo caso. Pochi giorni fa un giudice ha ordinato il suo rilascio su cauzione. Il prossimo passo sarà rivendicare il diritto di Elias di vivere nella sua città natale.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it