Un uomo anziano con una veste grigia e un cappello bianco lavorato a maglia. Non era certo la persona che mi aspettavo di trovare mercoledì mattina all’Educational bookshop di via Salah al Din a Gerusalemme Est. Di solito alle casse ci sono dei ragazzi – tutti fratelli – che chiacchierano sempre con i clienti. Scopro che l’uomo è lo zio dei ragazzi. Lavora nella libreria tutti i giorni la mattina presto, in attesa che arrivino i quotidiani in arabo, ebraico e inglese.

A un certo punto mi è scappato un sospiro. Mi attendeva una giornata lunga e impegnativa, e continuavo a pensare all’articolo che avrei dovuto scrivere sugli abusi dei coloni. L’uomo mi ha guardata con aria paterna: “Perché sospiri? Hai un terzo dei miei anni”. La gentilezza tipica dei palestinesi, condita da una bugia lusinghiera. Non ho avuto il tempo di contraddire la sua affermazione. “Lascia che ti racconti una storia”, ha detto. “Un uomo visita una città straniera. Va al museo, poi al palazzo e nella città vecchia. Infine entra in un giardino costellato di pietre. Un cimitero.

Cammina tra le tombe. ‘Ha vissuto sette giorni’, legge su una lapide. ‘Ha vissuto 36 giorni’, recita un’altra. L’uomo si accorge che le lapidi sono tutte simili (‘otto giorni’, ‘undici mesi’) ed esclama ad alta voce: ‘Dev’essere un cimitero per bambini’. Una donna interviene e lo corregge: ‘No. Sono tutti morti in età adulta. Sulla lapide c’è scritto il numero di giorni che hanno vissuto veramente, quelli in cui si sono goduti la vita’”.

Traduzione di Andrea Sparacino

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