È il 26 marzo e sono a Bruxelles per una conferenza sull’occupazione israeliana. La città è quasi in stato d’assedio per la visita di Barack Obama. Il suo intervento comincerà tra un’ora, alle 17, e so solo che sarà scortato da sei automobili per confondere eventuali assassini, che autobus e tram non circoleranno e che il cielo è pieno di elicotteri. Io sono appena arrivata da Gand e ho passato le ultime due ore a scrivere e cancellare più volte il primo paragrafo della mia rubrica di questa settimana.

Dopo un primo tentativo fallito di raccontare una mia conversazione con un tassista a Gand, ho provato a scrivere qualche frase su Z, una donna nata in Marocco e arrivata a Gand con i genitori quando aveva sei anni, quarant’anni fa. Da ragazza non ha mai avuto problemi di razzismo, ma oggi suo figlio di undici anni viene spesso insultato per il colore della pelle. Ma ho cancellato anche il paragrafo su Z perché non riuscivo a trovare le parole per descrivere la povertà degli arabi belgi (molti dei quali neanche parlano l’arabo).

Così ho ripensato ai dipinti di Gesù che ho ammirato nel museo di belle arti di Gand. La corona di spine raffigurata nei ritratti cinquecenteschi mi ha fatto tornare in mente Youssef Abu Aker, il ragazzo di 14 anni di cui vi ho parlato la settimana scorsa, ucciso dall’esercito israeliano a Hebron mentre raccoglieva gundelie, una pianta diffusa in Medio Oriente. Secondo alcuni, la corona di spine di Gesù era fatta proprio di gundelie.

Traduzione di Andrea Sparacino

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