L’unica certezza è che i catalani andranno a votare. Lo faranno tra poco meno di due mesi, il 21 dicembre 2017, con un’elezione regionale organizzata dallo stato spagnolo e da cui usciranno il nuovo parlamento regionale, il nuovo governo e il nuovo presidente della Catalogna.
È una certezza perché il presidente destituito da Madrid, l’indipendentista Carles Puigdemont, ha raccolto il 31 ottobre, da Bruxelles dove si è trasferito, quella che ha definito una “sfida democratica”.

Tutti i partiti catalani, indipendentisti e non, hanno accettato le elezioni o si preparano a farlo.
Indipendenza o meno, saranno gli elettori a deciderlo. Ma qui finiscono le certezze, perché per il resto la crisi catalana è fatta esclusivamente di interrogativi. Prima domanda: quale sarà il risultato del voto?
Stando agli ultimi sondaggi, dovrebbe prevalere l’indipendentismo, perché i sostenitori della separazione catalana sembrano in aumento, con circa il 49 percento degli iscritti contro un 43,6 che vorrebbe restare all’interno della Spagna. Se le urne confermeranno questa istantanea, sarà il trionfo degli indipendentisti e la sconfitta del primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, a cui Puigdemont ha già chiesto di accettare la volontà degli elettori, qualunque sia il risultato.

Una partita a scacchi
Al momento vincente, soprattutto perché la sospensione dell’autonomia catalana è stata applicata senza feriti e perché le elezioni sono state confermate, il primo ministro Rajoy rischia grosso. In ogni caso restano otto settimane prima del voto, un periodo molto lungo durante il quale l’opinione pubblica catalana può cambiare orientamento, confermando o accentuando l’attuale prevalenza degli indipendentisti ma anche riducendola drasticamente.

Dipenderà da due incognite: la credibilità che gli indipendentisti sapranno conferire al loro programma e i procedimenti giudiziari contro Puigdemont e i suoi ministri. Se saranno emessi mandati d’arresto, gli indipendentisti potranno facilmente sostenere che Madrid vuole far tacere i leader secessionisti prima di far parlare le urne. Sarebbe un’azione controproducente per l’unità spagnola, ma è altrettanto vero che per Rajoy sarà difficile evitare di applicare la legge.

È in corso una lunga partita a scacchi. Per il momento possiamo avanzare tre ipotesi: con una percentuale di voti inferiore al 30 per cento o anche del 40 per cento, l’indipendenza della Catalogna sarà rinviata a data da destinarsi; con oltre il 40 per cento saranno inevitabili difficili negoziati, mentre con la maggioranza assoluta è probabile che l’indipendenza diventi una realtà.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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