È opinione comune che l’Unione europea compia i suoi maggiori progressi nei periodi di crisi. Se questo è vero, il 2025 sarà senza dubbio un grande anno per l’Europa. Sfortunatamente, questa convinzione è diffusa soprattutto all’interno della bolla di Bruxelles, dove si basa più su un pensiero velleitario che sulla realtà politica. La maggior parte dei “progressi” che l’Unione fa durante le “crisi”, infatti, consiste nell’allontanare i problemi o nel trovare una soluzione che inevitabilmente porta a una criticità futura.

Quasi certamente questo atteggiamento porterà nel 2025 a un’altra “crisi”, o almeno a una sfida importante per l’Europa. Alla fine del 2024, i governi di Francia e Germania, che formano il cosiddetto “motore dell’integrazione europea”, hanno perso la maggioranza parlamentare e vanno avanti con grandi difficoltà. La Germania terrà delle elezioni cruciali nel febbraio 2025. Ma mentre i sondaggi mostrano un chiaro vincitore – i conservatori dell’Unione cristiano democratica Cdu/Csu – la formazione di una coalizione sarà difficile data la forza di Alternative für Deutschland (Afd), uno dei pochi partiti di estrema destra al quale le altre forze hanno ancora applicato la politica del cordone sanitario. Al contrario, il presidente francese Emmanuel Macron continua ostinatamente a favorire i governi di coalizione che non hanno una maggioranza parlamentare valida.

Come spesso accade di fronte alla mancanza di progressi interni, il presidente francese rivolge la sua attenzione alla politica estera, soprattutto a quella europea. Aggirando la Germania, soprattutto per quanto riguarda la guerra in Ucraina, cerca sempre più sostegno nell’Europa centrale e orientale, in particolare in Polonia, appoggiato con entusiasmo dalla nuova Alta rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l’estone Kaja Kallas, considerata un falco antirusso. Ma nonostante l’entusiasmo per il mantenimento di una posizione dura nei confronti di Mosca e il forte sostegno all’Ucraina da parte di alcuni leader della regione, l’opposizione più forte a questa linea proviene dall’est del continente (in particolare dall’Ungheria e dalla Slovacchia).

Naturalmente, la vera sfida per l’Unione viene da Washington, dove Donald Trump tornerà al potere il 20 gennaio. Pur non avendo una visione per un ordine mondiale alternativo, il presidente eletto ha puntato gran parte della sua reputazione politica sul “portare la pace” in Ucraina - e sul garantire che gli Stati Uniti non paghino più miliardi di dollari a Kiev. Per quanto riguarda l’Europa, Trump è l’anti Biden, un atlantista dall’epoca della guerra fredda, in disaccordo con molti componenti del suo stesso partito e con una parte del suo elettorato. Per Trump, l’Unione è prima un concorrente e poi un alleato. Allo stesso modo, considera la Nato più un racket di protezione che un’alleanza di sicurezza collettiva.

Il suo ritorno cambierà di sicuro l’Europa, ma resta da vedere se questo costituirà un progresso. In primo luogo, infatti, darà potere ai “consiglieri di Trump” di estrema destra, come Viktor Orbán in Ungheria e Giorgia Meloni in Italia. Successivamente, porterà alla piena normalizzazione delle sue idee aberranti e della sua linea politica. Questo non solo spingerà l’Unione più a destra su questioni come la crisi climatica e l’immigrazione – come hanno fatto anche le precedenti elezioni europee –, ma probabilmente indebolirà anche il sostegno all’Ucraina.

Ma, cosa ancora più importante, la sostituzione di Biden con Trump metterà a dura prova l’Unione europea stessa. Anche se Trump non dovesse sabotarla attivamente, mettendone i governi gli uni contro gli altri, o boicottandone la politica estera sostenendo le forze politiche che le si oppongono, il ritiro degli Stati Uniti dall’Europa lascerà un enorme vuoto politico che dovrà essere colmato dall’Unione stessa e dai paesi che ne fanno parte. Anche se se ne parla raramente, infatti, gli Stati Uniti hanno contribuito in modo determinante alla formazione e al successo europeo, facendo pressione su azioni e decisioni dell’Unione sia durante sia dopo la guerra fredda.

L’Unione europea perde contemporaneamente il suo più forte sostenitore e protettore estero, in un momento in cui è più divisa che mai e il suo tradizionale “motore” è a corto di carburante. Non è impossibile superare le crisi, che è un po’ quello che l’Europa ha fatto per gran parte del tempo, soprattutto se ci si può nascondere dietro le spalle di una superpotenza. Ora, però, dovrà trovare non solo le proprie politiche estere e di sicurezza, ma anche i mezzi finanziari e militari per garantirle. E tutto questo mentre l’estrema destra gioca un ruolo sempre più importante nella maggioranza dei paesi dell’Unione e in tutte le sue principali istituzioni, e ha un interlocutore comprensivo alla Casa Bianca.

L’aspetto più sorprendente di questa situazione è che fosse ben visibile da quasi un decennio. Si può rimproverare Trump per molte cose, ma non di essere poco chiaro su ciò che vuole o non vuole. Nel suo primo mandato ha già dimostrato che mantiene quello che promette, e che “gli adulti nella stanza” possono al massimo limitare i danni.

Tuttavia, in modo del tutto europeo, l’Unione ha messo da parte la questione, dimenticandosene rapidamente quando Biden ha riportato le relazioni transatlantiche ai tempi d’oro del ventesimo secolo. Assorbiti dalle divisioni interne – a livello sia europeo sia nazionale – i politici europei hanno scelto di ignorare l’elefante nella stanza, anche se questo li stava guardando in faccia, sorridendo.

E mentre i dibattiti sull’“autonomia strategica” tornano a dominare la bolla di Bruxelles, e centinaia di articoli ed editoriali ne sostengono l’importanza, l’Unione europea è ancora una volta in ritardo. Senza una visione, e internamente divisa e indebolita, sarà costretta a svolgere un ruolo molto più ampio nei principali conflitti del mondo, da Gaza alla Siria fino alla Russia e all’Ucraina, e dovrà agire in gran parte da sola e immediatamente, non coperta dagli Stati Uniti, oppure dovrà aspettare qualche anno. Una visione davvero cupa. Tranne, ovviamente, quando si vive nella bolla di Bruxelles e si crede che l’Europa prosperi in tempi di crisi.

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