“Nei prossimi cinque anni puntiamo alla nascita di più di novemila musei, centri d’arte e fondazioni”, ha affermato pochi giorni fa il fondatore di Artprice, Thierry Ehrmann, basando le sue convinzioni su un’inchiesta sul “consumo museale” condotta negli ultimi tre anni e che tiene conto di strutture che “potranno disporre di stanziamenti (fondiari, immobiliari o derivanti da collezioni) di almeno settanta milioni di dollari” escludendo quindi le strutture piccole.
Dietro questa terminologia di stupefacente limpidità è evidente il riferimento a programmazioni che sempre più spesso danno precedenza assoluta a valori sicuri in termini di “consumo”.
Possiamo citare senza paura artisti come Picasso, Dalì, Matisse, Van Gogh. Movimenti celebri come impressionismo, cubismo, surrealismo, pop art. “Prodotti” più rischiosi, come minimalismo, installazioni o arte concettuale saranno meno presenti. Le cifre citate non lasciano spazio a repliche. Ma più che porsi il problema dei contenuti possiamo pensare che questi musei saranno realizzati da architetti di grido. La loro costruzione e la loro inaugurazione saranno già di per sé degli eventi, al di là delle opere esposte.
Cultura-spettacolo, eventi spettacolari a beneficio dei “consumatori”. Tutti segni di tempi in cui vincono il vuoto e la superficialità, a patto, naturalmente, che siano “vantaggiosi”.
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