Non sempre il Natale ci trova nella migliore delle disposizioni d’animo. Anzi, il più delle volte ci arriviamo stanchi, tristi e un po’ ammaccati. I classici dischi natalizi ignorano la possibilità che in questo periodo dell’anno si possa essere di cattivo umore e ti riversano addosso un carico di melodie zuccherose, di allegria forzata, di campanelle e di coretti di bambini che rischia di peggiorare le cose.

Nel 1961 la cantante jazz June Christy (1925-1990) ha realizzato uno dei pochi dischi natalizi che tengono conto di quanto si possa essere umorali, instabili e ombrosi sotto le feste. All’inizio degli anni sessanta l’album di Natale viveva il suo momento massimo: dopo l’exploit di White christmas di Bing Crosby, che nel 1942, aveva di fatto creato un nuovo genere discografico, c’è stato il prodigioso Natale del 1957 in cui Frank Sinatra ed Elvis Presley, con i loro rispettivi album festivi, si sono sfidati a duello: la definitiva frattura generazionale del rock ’n’ roll forse è avvenuta proprio sotto l’albero.

June Christy, maestra del cool jazz californiano, voce profonda e leggermente scheggiata, fraseggio impeccabile e senso del ritmo miracoloso, si era fatta le ossa nella seconda metà degli anni quaranta come vedette della big band di Stan Kenton. Bionda, graziosa e brillante sulla scena, swingava con l’entusiasmo e il gusto di una Anita O’Day ma era anche capace del distacco sensuale e un po’ cinico di una Peggy Lee. Il critico Ted Gioia, nella sua grande storia del jazz recentemente ripubblicata in Italia da Edt, descrive la sua voce come “attraente e semplice, come parlare con un’amica”. Christy in effetti trova con l’ascoltatore quella confidenzialità da sconosciuta carina e un po’ brilla che, a una festa, vi racconta tutto di sé. Forse un po’ più del necessario.

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This time of the year è il suo unico album di Natale e, atto coraggioso ai limiti dell’irresponsabilità, contiene solo materiale inedito scritto apposta per lei dalla coppia di marito e moglie Connie Pearce e Arnold Miller. Niente standard e niente classici natalizi: l’ascoltatore viene blandito solo dai meravigliosi arrangiamenti di Pete Rugolo, per il resto è invitato alla festa solitaria e un po’ malinconica di June Christy.

Non è corretto però liquidare This time of the year come un album di Natale triste. Lo è, certo, ma è anche un disco pieno d’ironia, di meditazioni sul tempo che ci cambia e soprattutto pieno di speranza e di voglia di girare pagina. È un Natale senza bambini, secco come un martini dry fatto come si deve e buttato giù da soli prima di vestirsi per uscire. Ma non è un Natale senza gioia: è il lusso di potersi fermare a pensare, come canta in Ring a merry bell, “alle cose che ho perso e alle cose che sto imparando”. This time of the year è soprattutto una meditazione sul tempo che passa e sul rinnovamento. In Hang them on the tree June Christy canta con un po’ di amarezza che tutta quella spazzatura che si è accumulata in casa durante l’anno (spazzatura dell’anima, ovviamente) a Natale va spruzzata d’argento e attaccata sull’albero: “Ogni preoccupazione, ogni paura la legherò con un nastro a ogni lacrima e poi le vedrò danzare sotto le luci di Natale”. La chiave per capire il disco è però nel finale: in Winter’s got spring up its sleeve Christy sembra cantare a se stessa: “Quando calerà il sipario su questa notte gelata, ti risveglierai in un mondo tutto nuovo e luminoso, perché l’inverno ha un asso nella manica: la primavera”.

Se mai Lana Del Rey, l’attuale depositaria della coolness e del disinganno californiano, deciderà di fare un album di Natale, farebbe bene a partire da questo piccolo capolavoro ingiustamente dimenticato.

June Christy
This time of the year
Capitol, 1961

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