“Con quella voce può cantare anche la lista della spesa”. Questo è uno dei luoghi comuni più abusati per dire che un cantante o una cantante ha una “bella voce”. Come si definisce una bella voce? È un suono particolare? Una questione di frequenza? Magari un timbro, un colore? Oppure è una questione di tecnica, di controllo, di proiezione o di chissà cos’altro? Ma soprattutto, perché mai un buon cantante o una buona cantante dovrebbe perdere tempo a cantare la lista della spesa? È un po’ come dire che Michelangelo è così bravo a dipingere che sarebbe un’ottima idea fargli ritinteggiare la cucina.

Cécile McLorin Salvant, giovane e straordinaria cantante jazz in tournée in Italia questa settimana, odia sentirsi dire che ha una bella voce. O meglio, la ritiene una notazione irrilevante: la voce è uno strumento e lei, come ogni musicista, ha la missione di farlo suonare al meglio. Per lei è un mezzo e non un fine.

Nata nel 1989 a Miami, afroamericana di origini franco-haitiane, Cécile McLorin Salvant ha inciso sette album, vinto tre Grammy award e centinaia di altri premi. Il grande soprano afroamericano Jessye Norman la definì “una voce unica sostenuta da un’intelligenza e da un’assoluta musicalità che illuminano ogni nota che canta”. Non male, detto da un’artista leggendaria che nella sua carriera è stata eccellente tanto in Mozart quanto in Wagner, e che ha onorato le sue radici afroamericane riappropriandosi di spiritual e gospel dopo una carriera nei teatri d’opera più importanti del mondo.

Cécile McLorin Salvant canta ai Met Cloisters a New York accompagnata alla tiorba da Dušan Balarin

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Pur venendo da mondi e da generazioni diverse Jessye Norman e Cécile McLorin Salvant hanno una cosa in comune: l’attenzione per il repertorio. Un’attenzione curiosa, maniacale, anche spietata; una ricerca continua non tanto della bella pagina per far brillare la propria voce, quanto del pezzo giusto, del personaggio, dell’umore e dall’angolo giusto per raccontare una storia. Il canto per artiste come loro è una ricerca, una continua, instancabile esplorazione. E, come Jessye Norman, anche Cécile McLorin Salvant canta perfettamente in più lingue: Norman padroneggiava l’italiano, il tedesco e il francese e McLorin Salvant canta in inglese, in francese e in creolo. E in realtà è poco interessata alla lingua che il pubblico può capire.

Una canzone per Cécile McLorin Salvant non è solo musica, ma è teatro. Quindi la lingua in cui canta non è un dettaglio: è il colore, la cultura, l’anima del personaggio che abita, una sorta di costume di scena ma da portare con naturalezza. Essendosi formata come pianista e cantante classica conosce bene anche l’italiano: “Ho cominciato a imparare a pronunciare l’italiano a tredici anni, quando studiavo canto”, mi dice via Zoom.

“Ero ossessionata da Puccini. Ascoltavo le sue opere ogni giorno: mi ero stampata i libretti in italiano con accanto la traduzione in inglese di Madama Butterfly, Tosca e La bohème. Ascoltavo i dischi e connettevo l’italiano con il francese che parlavo, ne coglievo le somiglianze e le differenze. Ho ascoltato Puccini talmente tanto che se volessi sarei in grado di cantare tutta La bohème in italiano, l’ho davvero imparata a memoria”.

Cécile McLorin Salvant, dopo aver studiato pianoforte e canto classico, si è trasferita in Francia, a Aix-en-Provence, dove ha studiato canto barocco. “Quel tipo di studio mi ha insegnato molti aspetti tecnici: soprattutto il controllo, il fiato e la proiezione della voce senza microfono. Ma più di tutto mi ha insegnato la curiosità per il repertorio. Quelli che gravitavano intorno alla musica barocca erano una comunità di nerd, estremamente curiosi. E anche io ero una nerd estremamente curiosa: tutti erano alla ricerca di pagine musicali rare o mai eseguite, di trascrizioni e di riscoperte. E poi la musica barocca lascia grande spazio all’abbellimento e all’interpretazione. È lì, prima ancora che nel canto jazz, che mi sono posta il problema dell’improvvisazione”.

Il jazz è entrato poco dopo nella sua vita di studente: Cécile si accorge che quella curiosità, quella libertà, quella varietà e quella teatralità che lei amava nella musica antica si trovano anche nella comunità dei musicisti e dei cantanti jazz, a cui lei riconosce anche una coolness che l’attrae irresistibilmente. Il salto dalla classica al jazz è stato naturale e sentendola cantare dal vivo si percepisce una competenza tecnica fuori dal comune che non viene mai esibita, ma che la sostiene con solidità sul palco.

Quando le chiedo se è d’accordo con Maria Callas quando diceva che per lei la tecnica era come una camicia di forza che la costringeva e le permetteva di incanalare correttamente le emozioni espresse dai personaggi che interpretava Cécile ci pensa un po’ e poi mi dice: “Anzitutto io canto con il microfono, che allarga e facilita enormemente le mie possibilità di cantante. La mia priorità non è quella di proiettare la voce in un teatro in modo che non solo tutti sentano ma anche che tutti percepiscano le sfumature di quello che sto cantando. La mia priorità è comunicare con i miei musicisti e poi con il pubblico: sorprendere me stessa per sorprendere chi ascolta. Quando sento Callas sento la tecnica, ovvio, ma più di tutto sento i suoi personaggi, come interprete era davvero incredibile. Quando dice che per lei la tecnica è una camicia di forza in realtà dice una cosa molto bella in cui mi riconosco anch’io: la tecnica per lei non è un punto di arrivo ma un modo per portare il pubblico altrove”.

Cécile McLorin Salvant ha un rapporto molto particolare sia con il pubblico sia con la sua band: c’è sempre una triangolazione di sguardi tra lei, i suoi musicisti e il pubblico in sala. “Guardo sempre le persone. Cantare per me è un atto sociale: quando il pubblico partecipa per me diventa tutto più facile; quando è distratto, quando non apprezza ciò che faccio me ne accorgo subito e tutto diventa più difficile, e devo cercare una motivazione dentro di me per continuare. Non canto mai da sola: la musica diventa viva quando è ascoltata”.

Cécile McLorin Salvant canta “Just a gigolo” con il quintetto di Wynton Marsalis

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Nella scelta delle canzoni del suo repertorio Cécile McLorin Salvant si dichiara language based: il suo primo criterio di scelta è dato dalla lingua della canzone e dal suo suono. “Non amo le canzoni con parole troppo semplici”, mi spiega, “mi piace che ci sia uno sviluppo, una progressione nella canzone: non solo una progressione armonica ma anche dei cambiamenti nel personaggio che interpreto”. Non la sentirete mai cantare una canzone ovvia, magari per compiacere il pubblico. Come interprete di standard è estremamente capricciosa: può cantare Somewhere da West side story o Jenny dei pirati dall’Opera da tre soldi di Brecht e Weill, ma lo farà sempre a modo suo: sarà sempre come sentire quelle canzoni la prima volta.

Quando affronta un classico del pop, come Wuthering heights di Kate Bush, porta la canzone da tutt’altra parte: la smonta, la rimonta e la trasforma in un canto religioso a cappella che va via via ricomponendosi nell’irresistibile melodia pop che tutti conoscono. La canzone per lei è un pezzo di teatro, il viaggio di un personaggio da uno stato di partenza a una sorta di metamorfosi finale: un processo alchemico da una materia a un’altra, da un colore a un altro. McLorin Salvant sul palco è sia cantante sia attrice, ma è anche regista, costumista e scenografa: attraverso le canzoni evoca intorno a sé un intero mondo e una storia.

La sua musica ha anche una dimensione politica. Sul suo ultimo album, Mélusine, Angela Davis ha scritto un saggio in cui, a proposito della delle strane scelte di repertorio, dice: “La sua musica ci costringe ad abbracciare complessità e contraddizioni. Cose che possono essere molto belle ma che ci ricordano che, storicamente, la promessa di espandere le nostre libertà spesso veniva trovata in cose che venivano marginalizzate come bizzarre se non addirittura cattive”.

Mélusine è una raccolta di pezzi di vario tipo (antiche canzoni occitane, melodie folk tra Francia e Antille e composizioni inedite) che ruota intorno al tema della donna-mostro e della trasformazione: la protagonista è una bellissima giovane che, segretamente, ha il potere di trasformarsi in un serpente (o in un drago, a seconda delle tradizioni) e che ovviamente non deve essere vista da nessun uomo quando si trasforma. “Un potere femminile che per esistere deve essere tenuto segreto e ben nascosto”, nota Angela Davis, che conclude: “La musica di Cécile McLorin Salvant prospera nell’ibridazione e nella differenza, e l’artista sa che non sono le nostre differenze a dividerci ma la nostra incapacità di riconoscere, accettare ed esaltare queste differenze”.

Cécile McLorin Salvant canta a Pisa Jazz Rebirth il 7 luglio e a Roma alla Casa del jazz l’8 luglio.

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