La scuola – questo spazio che mette insieme ogni anno studenti diventati insegnanti, figli diventati genitori, figli che forse diventeranno genitori, studenti che potrebbero diventare insegnanti – è in pausa estiva. Ma poiché, che lo vogliamo o no, riaprirà, ecco un piccolo suggerimento senza pretese.
Il miglior modo per fare i genitori è ricordarsi di essere stati figli; il miglior modo per fare gli insegnanti è ricordarsi di quando si è stati studenti. È un’ovvietà ma va sottolineata, perché in genere si è così presi dall’ansia di recitare la parte dell’ottimo genitore, dell’ottimo insegnante, che quasi ci vergogniamo di quando siamo stati in quell’altro ruolo, e anzi facciamo come se la nostra esistenza fosse cominciata esattamente nel momento in cui ci siamo trovati su qualche podio metaforico o cattedra reale, autorizzati dall’età adulta. Uno sguardo retrospettivo sulla nostra infanzia e sulla nostra adolescenza fuori e dentro le aule può invece giovarci.
Naturalmente non si tratta di disegnare un quadro idilliaco e cercare di riprodurlo facendo il castigamatti contro tutto ciò che se ne discosta. Né si tratta di evocare il proprio inferno biografico per cambiargli segno e rifondare famiglia e scuola. Si tratta piuttosto di ricordarci del male che ci è stato fatto quando eravamo minori e sforzarci di non farne ai nostri figli o ai nostri studenti.
Questa rubrica è stata pubblicata il 25 agosto 2017 a pagina 76 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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