Le parole potevano ferire. La lingua era un mezzo per comunicare, lottare, ragionare. Ma da quando abbiamo scoperto che la rivolta siriana è stata tradita e che il suo smisurato tributo di morti rischia di essere inutile, ci chiediamo se le parole siano ancora in grado di incidere sulla realtà. Perché la rivoluzione è stata tradita. Sembra assurdo, ma dopo questi tre anni in cui i siriani hanno lanciato una grande rivolta popolare, siamo scivolati in un intrigo che ha fatto spargere inutilmente il loro sangue ai piedi dei dittatori. E la lingua è la seconda vittima di questo tradimento.

Non sappiamo con sicurezza cosa succede davvero in Siria perché le notizie sono contraddittorie. La città di Yabrud è caduta o si è arresa? Il castello crociato Krak dei cavalieri è stato espugnato o i ribelli sono stati traditi? Chi combatte, e con che mezzi?

Sappiamo, invece, fin troppo bene quale bugia sta prendendo piede. Si dice che, siccome i manifestanti uscivano dalle moschee, in Siria la rivoluzione è stata un grosso errore ed era inevitabile che degenerasse in uno scontro tra i fondamentalisti armati e il regime, aiutato da milizie sciite altrettanto fondamentaliste.

Questa non è una bugia innocente, anche se si vorrebbe spacciarla per tale. Per non parlare di certi intellettuali – a cui va tutto il mio disprezzo – che in pubblico negano le loro colpe, tremando di paura. No, l’attuale corso della rivoluzione non era inevitabile, non è una conseguenza dell’inesperienza dei siriani con la democrazia, ma è stato il risultato di una serie di fattori a cui si può dare un solo nome: tradimento.

L’occidente ha tradito la rivoluzione. Contare sul sostegno degli Stati Uniti è stata un’idiozia: l’imperialismo statunitense non si è mai interessato alla libertà dei popoli, specialmente in Medio Oriente. D’altra parte la vecchia Europa continua a rimpiangere il passato coloniale: quello che le interessa è dimostrare che le indipendenze nazionali sono servite solo a fermare la sua missione civilizzatrice di popoli arretrati.

Due tradimenti. Ma vorrei soffermarmi in particolare su due tradimenti: il primo è l’illusione, ben radicata nelle teste di molti, che prima o poi ci sarà un intervento straniero e che in Siria si ripeterà lo scenario libico. Quest’illusione ha contribuito a indebolire i leader dell’opposizione e ha impedito di capire fino in fondo quanto la rivoluzione fosse una lotta popolare. Sul piano politico e organizzativo, l’ha relegata alle dipendenze dei regimi del Golfo, che sfruttano i siriani per vendicarsi dell’Iran. Farsi illudere non è stato solo un errore politico, ma è stato anche un tradimento, perché ha fatto nascere aspettative che sono state deluse. Tutto ciò ha logorato l’iniziativa popolare, da cui erano nati i Comitati di coordinamento locale e l’Esercito siriano libero.

Il secondo è stato un tradimento regionale, arabo e turco, sotto forma di vuote promesse di aiuto. I paesi della regione non hanno mai superato i limiti imposti dagli Stati Uniti. Il loro interesse era solo infiltrarsi nella rivoluzione per scompaginarne le file e soffocare il sogno democratico. Così hanno smantellato l’Esercito siriano libero per creare una forza militare fondamentalista islamica.

Questi tradimenti sarebbero stati meno amari se le élite laiche, di sinistra e liberali, avessero capito l’importanza del loro ruolo nella fase di passaggio da una rivoluzione pacifica a una rivolta armata. Invece la loro incapacità è stata un ulteriore tradimento. Il ricorso alle armi non è stato la conseguenza di una decisione consapevole, ma una reazione popolare e spontanea contro una repressione estremamente violenta. Questa è la realtà. Invece le tesi complottiste hanno contribuito a gettare fango sulla lotta del popolo siriano. La sconfortante assenza delle élite progressiste ha lasciato un vuoto enorme, in cui si è fatto strada il fondamentalismo di Al Qaeda e dei regimi del golfo Persico.

Quest’assenza può avere molte giustificazioni. Si può dire che quarant’anni di dittatura in Siria sono riusciti a sopprimere qualunque forma di organizzazione politica indipendente, o che i servizi segreti erano talmente ben organizzati da stroncare sul nascere ogni iniziativa, o che il nucleo iniziale dell’Esercito siriano libero era a corto di aiuti finanziari e logistici. In un certo senso è tutto vero, ma non sono giustificazioni sufficienti. La sinistra araba – e non solo quella araba – deve emanciparsi da un approccio alla realtà dove abbondano le chiacchiere e scarseggia l’impegno pratico. I valori di una nuova cultura, dopo il collasso dei Comitati di coordinamento locale sotto i colpi della repressione, ritroveranno spazio solo nelle iniziative dal basso.

Anche se i tradimenti sono tanti, sono convinto che non si può tornare indietro, poiché indietro c’è solo morte. La dinastia degli Assad non può rimanere al potere, a prescindere da quelli che saranno gli sviluppi futuri. Su queste certezze rifonderemo la nostra lingua, che ormai, dopo tanto sangue, distruzione e lacrime, è sempre più vicina al silenzio.

(Traduzione di Giacomo Longhi)

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