Il fotografo Peter Lik ha annunciato di aver battuto il record per la foto più cara del mondo, dichiarando di aver venduto una sua opera per 6,5 milioni di dollari. L’immagine in questione si chiama Phantom, e ritrae le maestose pareti rocciose dell’Antelope canyon in Arizona, uno scorcio pittoresco in cui la semioscurità della gola viene squarciata da una colonna di luce, da cui il fantasma del titolo.
Lik è il tipico esponente del cosiddetto landscape porn, l’ossessione fotografica per la celebrazione del mondo naturale: una sequela di boschi, vallate e montagne che decora le sale d’aspetto dei medici, le caffetterie o i salvaschermi dei nostri computer. Certo nessuno l’avrebbe immaginato scalare la vetta delle quotazioni fotografiche, superando di ben due milioni di dollari il precedente primato appartenente a Rhein II di Andreas Gursky, una rappresentazione metafisica, quasi asettica di un tratto del Reno che teneva la vetta della classifica dal 2011.
Non appartiene al mondo del fine art fotografico, non finisce nelle stesse retrospettive o fiere in cui gli altri membri della classifica che ha usurpato si ritrovano sempre insieme, viventi o meno che siano: Peter Lik è un master fotografico e un imprenditore che si è fatto da solo, che invece di aspettare di entrare nelle grazie del giro che conta si è aperto le sue gallerie personali con l’insegna fuori e il décor tamarro. Sul suo sito c’è una sequenza di suoi ritratti, una gallery dal titolo Hero Shots: Lik con un cappello da cowboy, in sella a una moto, o con cavalletto e macchina poggiati sulla spalla, a mo’ di fucile automatico.
La vendita di Phantom in realtà fa parte di una transazione ancora più sostanziosa: Lik ha venduto altre due foto allo stesso collezionista, per un totale di dieci milioni di dollari. Considerando anche un’altra opera che ha venduto per un milione di dollari nel 2010, Lik attualmente occupa quattro posizioni nella top 20 delle fotografie più care del mondo, laddove neanche Gursky, Cindy Sherman o Alfred Stieglitz ne occupano più di due.
Una specie di Crocodile Dundee che irrompe nel salotto buono non invitato, con i gli stivaloni e il suo accento australiano fortissimo: inevitabile che qualcuno gridasse allo scandalo. Tra questi il critico d’arte del Guardian, Jonathan Jones, che attacca il romanticismo dozzinale della foto, ma invece di prendersela con Lik se la prende con la fotografia tutta intera. “La fotografia non è un’arte, è una tecnologia”, scrive in apertura del suo editoriale, per poi affondare il colpo di grazia: “questa foto incarna tutto il male che accade quando i fotografi pensano di essere artisti”. Jones stesso il mese scorso aveva scritto un altro editoriale a pochi giorni dall’apertura di Paris Photo, che titolava “Piatte, stupide e senz’anima: perché le fotografie non funzionano nelle gallerie”. Sean O’Hagan, che è il critico fotografico del Guardian, è quindi intervenuto a difesa della sua arte prediletta, palesando così una disputa interna che ha preso toni ancora più ottusi e datati delle tanto vituperate fotografie di Lik.
Che i critici di uno tra i principali quotidiani del mondo ancora oggi bisticcino sul posto della fotografia nell’arte contemporanea è più grave del fatto che tre o quattro cartoline valgano milioni di dollari. L’unica cosa sensata da dire su questa vendita anomala è che Lik è l’unico nella top 20 ad aver venduto a un collezionista privato e non tramite asta, e in più l’acquirente non è mai stato rivelato, “per questioni di riservatezza” ha fatto dire ai suoi legali. Le vendite potrebbero essere inventate, non esiste prova come non esiste mercato secondario per le sue opere, che è quello per il quale gli altri fotografi valgono così tanto, oltre che per la qualità del loro lavoro.
I record finanziari della fotografia sono un porto di mare: perfino il primo ministro russo Dmitrij Medvedev ha una fotografia in top ten, la sua veduta aerea di un Cremlino siberiano venduta a un’asta di beneficenza per 1.750.000 dollari. L’unico vincitore di questa storia è Peter Lik: che abbia incassato o meno quei soldi, è riuscito a far scrivere di sé in tutto il mondo, surclassando legioni di pornografi della natura bravi quanto lui, ma che resteranno confinati alla fotografia stock per tutta la vita.
Finché daremo alla parola fotografia un significato onnicomprensivo saremo condannati a polemiche inutili e datate come il botta e risposta sul Guardian. Le immagini fotografiche sono oggetti diversissimi tra loro, la cui natura non risiede nel mezzo con cui sono stati creati ma nell’intento di chi li ha realizzati e nell’occhio di chi guarda. La nostra è un epoca di continua ridefinizione del peso specifico dei segni fotografici, un fenomeno di ampiezza tale che si rischia costantemente di perdere la capacità di distinguere tra ciò che vediamo. Le immagini vengono prodotte e circolano in modi sempre nuovi, e non è più concesso di fare una semplice distinzione tra bello e brutto prima di aver compreso che tipo di materiale fotografico ci troviamo davanti. La fotografia non è una tecnologia, è una galassia.
Il dipinto più caro del mondo è I giocatori di carte di Paul Cézanne, comprato nel 2011 per 250 milioni di dollari dalla famiglia reale del Qatar: un simile investimento testimonia l’importanza dell’opera, oppure parla di altriinteressi che si nascondono dietro un acquisto in apparenza così nobile? Forse è più importante discutere una questione del genere, che fare a gara a chi è più bravo a insultare una costosissima e mediocre fotografia, che neanche sappiamo se sia stata davvero acquistata da qualcuno.
Fabio Severo copre eventi sportivi e non per agenzie e network internazionali, cura progetti fotografici per l’associazione Zona, scrive su Ultimo uomo, Il, Rivista Studio e ha un blog di fotografia, Hippolyte Bayard.
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