“Merito” è una di quelle parole italiane che non hanno lo stesso significato del loro corrispettivo inglese, anche se in questo caso il dizionario sembra dire di sì. In inglese merit denota, tra le altre cose, il grado zero del collante che unisce la società. È sempre un concetto positivo. Dietro il merit system statunitense, che dovrebbe decidere come distribuire le risorse in modo imparziale, c’è una convinzione abbastanza diffusa che quel sistema, quando funziona, è giusto, e che non è troppo difficile definire in che cosa consista il merito. Anche se le disparità sociali sono palesi, sono in pochi a credere che il problema sia il concetto di merito in sé.

Sembra che Ignazio Marino, che ha passato quasi vent’anni lavorando come chirurgo negli Stati Uniti, sia tornato in Italia con questa stravagante credenza straniera. Appena eletto sindaco ha voluto scegliere i collaboratori sulla base dei loro curriculum: un grande novità per il sistema politico italiano. Per questo ha subìto lo scherno di commentatori di ogni schieramento, e ora, dopo Mafia capitale, sappiamo in parte perché: curriculum vuol dire trasparenza, ed erano in tanti a non volere sguardi indiscreti sul loro operato.

Secondo il merit system statunitense, quei legami che definiscono la società italiana – quei padri, figli, fratelli, zii, compari, camerati, compagni – non dovrebbero garantire la precedenza quando c’è da assegnare un posto di lavoro o un contratto. Se il povero statunitense deve sforzarsi di fare “networking”, la vita italiana è tutta una rete di legami, conoscenze, contatti, introduzioni, raccomandazioni e così via. “Un sistema basato sul merito” non fa parte dell’architettura della società italiana, anzi. Spesso chi esalta il merito in Italia è conservatore, contrario alla giustizia sociale. In quest’ottica, il merito facilita una sorte di darwinismo sociale. E in seguito un Salvatore Buzzi che dirige una coop “di sinistra” può anche vantarsi di servire tutti – rom, immigrati, ex detenuti – come prova necessaria a dimostrare di essere un uomo di sinistra. E poi quei 2.500 posti ad Ama e Atac distribuiti da Alemanno: ok, mancava la trasparenza, ma andavano tutti a persone bisognose!

Curriculum vuol dire trasparenza, certo, ma vuol dire anche giustizia? Qui sta la distanza tra il merit system statunitense e “un sistema basato sul merito” italiano. Nel paese dell’“aggiungi un posto a tavola” c’è un altro concetto di sistema: uguaglianza. Tutti hanno diritto a un reddito o a un lavoro, e i più preparati non hanno la precedenza. È un’ idea molto nobile che condivido anch’io. Ma è difficile da mettere in pratica, soprattutto in tempi di magra.

Ma il merito è davvero nemico della giustizia sociale? Il filosofo Roberto Esposito, in uno stimolante articolo pubblicato di recente sulla Repubblica, avverte che la meritocrazia è tutt’altro che democratica. Chi definisce il merito? “Quale arbitro neutrale” può assegnare il titolo?

Sono domande importanti, eppure un po’ di merito non guasterebbe in un sistema oppresso da camerati e compari. Dopo tutto, neanche negli Stati Uniti è in vigore una vera meritocrazia, ma solo una plutocrazia neoliberale per la quale nessun ideale, merito incluso, vale come dovrebbe. Con tutto quello che succede in Italia, non credo che sarà qualche curriculum in più a dare il colpo di grazia al principio di uguaglianza.

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