Il monumento alla vittoria a Bolzano. (Vittoriano Rastelli, Corbis)

È un colosso di marmo bianco che si regge su 18 imponenti fasci littori. Voluto da Benito Mussolini e realizzato dal suo architetto preferito, Marcello Piacentini, il monumento alla vittoria di Bolzano fu inaugurato nel 1928 alla presenza del re. Sulla facciata un’iscrizione latina esalta la superiorità culturale dell’Italia sul mondo tedesco: “Da qui educammo gli altri alla lingua, al diritto, alle arti”.

Per decenni, l’enorme arco di Piacentini, con la sua pesante carica ideologica, è stato motivo costante di discordia tra i gruppi etnici dell’Alto Adige. Per decenni, davanti al monumento, sono state deposte corone e sono stati pronunciati discorsi patriottici. E regolarmente si sono svolte manifestazioni contrarie e favorevoli all’ingombrante relitto della dittatura. Dopo un attentato fallito è stato recintato e protetto da un sistema di allarme. Nel 2002, una decisione del sindaco di cambiare il nome di piazza della Vittoria in piazza della Pace è stata bocciata da un referendum. Poi, anni di silenzio.

Questa settimana la grande svolta. Nella spaziosissima cripta sotto il monumento è stata inaugurata una mostra permanente, un percorso espositivo che illustra in tredici sale la storia del monumento e la inserisce nel contesto delle vicende storiche locali durante il ventennio fascista e l’occupazione nazista. Inoltre illustra i radicali mutamenti urbanistici operati a Bolzano per la costruzione di una città italiana. Su incarico di stato, provincia e comune, una commissione di storici ha lavorato per due anni in totale discrezione. Ne è uscito un museo di altissima qualità e notevole livello estetico che nei primi due giorni ha registrato quasi quattromila visitatori.

Vittorio Sgarbi si è espresso con entusiasmo per l’anello con scritte luminose che circonda uno dei fasci di marmo: “Un’operazione pop”. Tra i primi visitatori, c’è stato il ministro ai beni culturali Dario Franceschini, che ha elogiato la “memoria condivisa sotto un monumento foriero di divisioni”. Gli storici coinvolti parlano di un’iniziativa unica in Italia: “Abbiamo trasformato il monumento della discordia in uno strumento capace di riunificare”. Per l’Alto Adige è una vera svolta, che testimonia il profondo cambiamento nelle relazioni tra i gruppi linguistici avvenuto negli ultimi dieci anni.

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