La circolazione delle informazioni è fondamentale nel discorso pubblico e ha un ruolo importante nel regolare le nostre emozioni, tra cui la paura. Lo spiega bene Karin Wahl-Jorgensen, docente della scuola di giornalismo dell’università di Cardiff che studia la funzione delle emozioni nel giornalismo, in particolare quando ci sono disastri e crisi. I mezzi d’informazione stabiliscono le priorità del dibattito pubblico: non ci dicono per forza cosa pensare, ma ci dicono a cosa pensare. Come altre emozioni, la paura è contagiosa e può trasmettersi rapidamente. Rischiando, tra l’altro, di accelerare la proliferazione di informazioni false.
In questi giorni il nuovo coronavirus sta ricevendo un’attenzione molto maggiore di altre epidemie recenti. Uno studio del settimanale statunitense Time ha messo a confronto il primo mese di diffusione del coronavirus e dell’ebola nei giornali in lingua inglese: gli articoli sul coronavirus sono stati 23 volte più numerosi.
Secondo Wahl-Jorgensen la paura ha avuto un ruolo decisivo nel determinare l’ampiezza della copertura giornalistica. La studiosa ha analizzato i cento più importanti quotidiani internazionali in lingua inglese e ha visto che tra il 12 gennaio, quando hanno cominciato a uscire le prime notizie, e il 13 febbraio sono stati pubblicati 9.387 articoli sul nuovo coronavirus, di cui 1.066 contenevano la parola “paura” o sinonimi.
“La prevalenza della paura come tema di fondo negli articoli suggerisce che la gran parte della copertura giornalistica tende a descrivere la paura dell’opinione pubblica più che a informare su cosa stia succedendo dal punto di vista della diffusione del virus”, dice sempre Wahl-Jorgensen.
Nel 1933 il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt pronunciò un discorso d’insediamento che rimase celebre soprattutto per una frase, di cui molti si stanno ricordando in questi giorni: “La sola cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa”.
Questo articolo è uscito sul numero 1347 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati
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