Valerio Evangelisti, Day hospital
Giunti, 110 pagine, 10 euro
I diari di malattia hanno quasi tutti la stessa struttura. Alla sorpresa della scoperta di un male indicibile segue la descrizione della durezza del trattamento, quindi il sollievo della guarigione, spesso accompagnato da un comprensibile autocompiacimento per la forza dimostrata e da un resoconto di quel che di positivo la malattia ha drammaticamente rivelato: lati di sé che non si conoscevano, l’amore dei propri cari, una dimensione superiore. Affrontando con rigore questo genere di scrittura, Valerio Evangelisti lo scardina in più di un aspetto.
Nell’esperienza della sua malattia Evangelisti non cerca né una profondità inedita né un momento di eccezionalità rivelatrice. Piuttosto, la malattia diventa un banco di prova per verificare i valori in cui crede e i modi di vivere che pratica già: la capacità di cavarsela da solo, la voglia di conservare un certo margine di autonomia rispetto a quanto gli viene imposto (per esempio bevendo birra anziché acqua), e soprattutto la necessità di dirsi la verità su quello che sta succedendo, per quanto problematico e poco edificante possa essere (come fa nella seconda parte, in cui affronta gli effetti collaterali che provoca uno dei medicinali).
Così, senza presentarsi come qualcuno capace di dare consigli, Evangelisti riesce a raccontare senza fronzoli cosa comporti riflettere sulla propria morte e sul tempo che rimane.
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