Leonardo Sciascia, Fatti diversi di storia letteraria e civile
Adelphi, 294 pagine, 16,00 euro
Sono passati vent’anni dalla morte di Sciascia, e all’Italia di oggi mancano moltissimo intellettuali del suo calibro, come di Pasolini e Calvino, Morante e Ortese, Garboli e Fortini. Scrittori, poeti, critici ma anche analisti delle trasformazioni della nostra società, polemisti in grado di reagire e invitare a reagire alle storture della politica.
Chi li sostituisce, nella pletora dei giornalisti e predicatori, nella superficialità o complicità dei commentatori-denunciatori?
Questi “fatti diversi” sono una di quelle raccolte che Sciascia periodicamente proponeva, e se sono un esempio anche il suo carattere a volte pedante e sentenzioso, da letterato di tradizione, evidenziano anche insieme alla profondità della cultura, la persuasione della passione civile.
Che parli di pittura o fotografia, di scrittori amati o non amati, di morti o di viventi, di Pirandello o D’Annunzio, di Stendhal o di Courbet, di Verga o di Nuovo cinema Paradiso, il filo rosso è quello della Sicilia, di un’Italia più rappresentativa di altre dei pregi e limiti del paese.
Sciascia inquisisce, scava, allarga, confronta, non si chiude al letterario e va nello storico e nel sociale, nell’antropologico. La domanda del primo capitolo – “Come si può essere siciliani?” – ne suscita oggi un’altra, più attuale: “Come si può essere italiani?”.
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