François Bégaudeau, Verso la dolcezza
Einaudi, 148 pagine, 15,50 euro
Ho avuto qualche difficoltà nello scegliere un romanzo da segnalare, tra tanti che ripetono schemi abusati. “Perché si scrive?”. La risposta è facile, come quella alla domanda “perché si legge?”.
Scrivere non è difficile, se la molla è la vanità e non la necessità, e gli editori sono di bocca buonissima. Leggere è un modo di consolarsi: scrittori e lettori hanno gusti e cultura molto vicini.
Meno facile è capire perché, in un mercato intasato, gli editori scelgano poco e male. François Bégaudeau va verso i quarant’anni, vive a Parigi e ha scritto La classe, da cui Laurent Cantet trasse un film molto migliore del libro, più duro e profondo.
Verso la dolcezza è la cronaca di rapporti sentimentali poco consistenti fra trenta-quarantenni più o meno colti e più o meno aridi (meno uno, il simpatico funambolo, quello che trova l’amore e che è il più fasullo). Anni 2005-2008. Maschi e femmine ripetono male, con la fiacca di oggi, modelli di ieri: richiamano il Perec di Le cose, Sagan, la prima nouvelle vague, le loro derivazioni commerciali o moralistiche.
Sono personaggi a cui non si danno o che non vogliono responsabilità, dai sentimenti esili e provvisori, che si lasciano vivere e non vivono, privi di aspirazioni e sogni collettivi.
È difficile amarli ed è più facile capirli, ma l’autore, uno di loro, è meno amabile di loro: non li ama e non fa sforzi per capirli.
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