Jacques Chessex, L’ultimo cranio del marchese di Sade

Fazi, 110 pagine, 12 euro

Tre anni fa si parlò molto di questo romanzo (uscì due mesi dopo la morte del grande e tragico scrittore svizzero durante un dibattito, mentre uno del pubblico lo attaccava perché aveva difeso Polanski dai puritani statunitensi), accusato di pornografia e vietato nella sua stessa patria. Autore dell’Orco, confronto violentissimo con la distruttiva figura del padre, e del Vampiro di Ropraz, ricostruzione di una storia vera come, ugualmente affilata, sarcastica, dolente fu quella sui fascisti svizzeri negli anni trenta in Un ebreo come esempio, Chessex parte dalla consultazione di archivi e libri per narrare gli ultimi tempi di Sade nel manicomio di Charenton, e le sue ultime nefandezze.

Ma si stacca dal vero via via che – passando dalla terza persona all’io dell’autore – si seguono le vicissitudini, prima vere e poi presunte o inventate, del cranio di Sade, anzi dei molti crani comparsi qua e là. Sade non cessa di inquietare la sensibilità moderna, perché il male non cessa, e il male di Sade è l’inanità del bene, la coscienza dell’assenza di Dio e la bestemmia che ne consegue. La sulfurea influenza del cranio di Sade? “Proprio perché è solo l’uomo ha disperatamente bisogno di simboli”. E perché bisogna saper mischiare, ha scritto Chessex in una poesia, “il gusto più forte del giorno con il miele dei morti”.

Internazionale, numero 950, 25 maggio 2012

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