Pierre Boileau e Thomas Narcejac, I diabolici

Adelphi, 174 pagine, 16 euro

Prolifica coppia di autori di gialli senza detective – sulla scia di James Cain e di un Simenon più cupo e recitato – gli autori di I diabolici (o Le diaboliche, forse, come riconoscerà Clouzot che ne trasse un film memorabile dedicandolo a Barbey d’Aurevilly ma scombinando il gioco dei sessi, due donne e un uomo nella fonda provincia francese dei Mauriac e Bernanos e Green che fu già dei Balzac vista qui con uno sguardo totalmente laico) sono anche gli autori del romanzo da cui Hitchcock – che al film di Clouzot si ispirò per lo stile freddo e bianco e nero di Psycho – trasse un altro capolavoro, La donna che visse due volte.

E in realtà anche I diabolici era stato scritto con l’idea di poterlo vendere a Hitchcock. A distanza di sessant’anni, il romanzo regge eccome. Serrato e ossessivo, in esso lo scavo nella mentalità del protagonista, un mediocre e passivo per eccellenza contrariamente a quello del film, un fallito predestinato e meschino, è condotto con una maestria che, pur con echi da nouveau roman, viene dalla grande letteratura dell’ottocento: “Pentirsi di cosa? A quel punto dovrebbe pentirsi di essere quello che è. E non avrebbe senso”. Ottimamente tradotta, questa nuova edizione di un classico noir tra i più crudeli, merita di venir letta o riletta, anche per sbugiardare i tanti imitatori, e di esser confrontata con il film, che è reperibile in dvd.

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