L’ultima volta che l’espressione Mare nostrum è stata usata come slogan politico in Italia è stata quando il regime fascista di Mussolini rivendicava il dominio su tutto il Mediterraneo. Oggi le cose sono cambiate, e Mare nostrum è il nome dell’operazione della marina italiana che ha l’obiettivo di salvare i migranti dall’annegamento durante il pericoloso viaggio nei barconi dal Nordafrica alle coste italiane.

Su un’imbarcazione in buono stato, con un motore funzionante e una bussola affidabile, è una traversata di dieci ore che non presenta particolari insidie. Su un barcone sovraffollato e ammaccato, rimediato dagli scafisti da qualche parte lungo la costa africana e messo in mare dopo una riparazione rudimentale, il viaggio può invece rivelarsi una condanna a morte. Negli ultimi dieci anni circa ventimila migranti hanno fatto naufragio prima di raggiungere l’Italia.

Nell’ultimo incidente, il 23 agosto, le vittime si erano allontanate di appena un chilometro dalle coste libiche quando il barcone è affondato, lasciando 170 persone in balia del mare. La marina italiana non opera nelle acque territoriali libiche, e la guardia costiera di Qarabouli, a est di Tripoli, non ha a disposizione nemmeno un’imbarcazione e ha dovuto prendere in prestito un paio di pescherecci per soccorrere i naufraghi. Quando i soccorritori sono arrivati sul posto solo 16 migranti erano ancora vivi.

Di solito i barconi affondano in acque internazionali, dove è la marina italiana a incaricarsi del salvataggio. L’operazione Mare nostrum è partita nell’ottobre del 2013, e da allora più di ottantamila persone sono state prelevate dalle loro trappole galleggianti e portate in salvo sul suolo italiano.

Questa politica ha permesso di salvare centinaia di vite e fa onore alle tradizione umanitaria dell’Italia, ma il problema è che tutti i profughi chiedono asilo politico appena sbarcati, mettendo in moto un processo legale che può durare anche anni. In questo senso la marina sta alimentando le difficoltà dell’Italia, terra di approdo di oltre la metà dei migranti senza documenti che entrano nell’Unione europea.

La maggior parte di loro ha buone ragioni per chiedere asilo politico: moltissimi sono in fuga da conflitti armati e dittature in paesi come Siria, Eritrea e Somalia, mentre un numero minore arriva dall’Africa occidentale. Quasi nessuno di loro vuole restare in Italia, sprofondata in una lunga crisi economica e con un altissimo tasso di disoccupazione. La loro destinazione sono i più prosperi stati dell’Europa settentrionale.

Tuttavia, secondo il diritto internazionale i rifugiati devono chiedere asilo politico nel primo paese sicuro che raggiungono. Nel caso dell’Unione europea questo paese è quasi sempre l’Italia, perché è molto vicina all’Africa e perché il caos della Libia post-Gheddafi significa che non c’è alcun controllo sulle imbarcazioni che salpano dalle sue coste.

Oggi l’Italia accoglie più della metà del flusso di rifugiati verso l’Unione europea (probabilmente ben oltre centomila persone solo quest’anno), che per legge devono restare tutti nel paese. Una situazione costosa e politicamente molto pericolosa. Le strutture d’accoglienza italiane sono sempre più affollate, eppure i partner europei dell’Italia sembrano ben contenti di lasciare l’Italia a reggere da sola il peso di questo fardello.

In questo momento la quasi totalità della Mezzaluna fertile è in guerra, e nuovi flussi di profughi stanno nascendo a causa dei combattimenti in Sud Sudan e in Repubblica Centrafricana. Il numero degli immigrati senza documenti cresce rapidamente, e ben cinque navi da guerra della marina italiana sono impiegate a tempo pieno nell’operazione Mare nostrum. Negli ultimi mesi è capitato spesso che le imbarcazioni salvassero più di mille persone al giorno. La situazione è chiaramente insostenibile.

Finora l’Italia non ha mai minacciato di interrompere i salvataggi e lasciare i naufraghi al loro destino. “Non vogliamo un mare della morte”, spiega l’ammiraglio Michele Saponaro, che dirige le operazioni dal centro di comando navale. Ma Roma sta perdendo la pazienza nei confronti dell’indifferenza dei partner europei, e sta pensando a un altro modo per risolvere il problema.

Il trattato di Schengen non comprende il Regno Unito e l’Irlanda (che hanno approfittato della clausola opt-out) e quattro nuovi membri non hanno ancora soddisfatto i suoi requisiti, ma 22 stati su 28 permettono comunque libertà di movimento all’interno dei confini per i residenti in tutti i paesi Schengen. Tra questi, naturalmente, c’è anche l’Italia. Quindi in teoria il governo italiano potrebbe concedere ai rifugiati una carta d’identità e un permesso di soggiorno permanente e lasciare che proseguano il loro viaggio verso pascoli più verdi.

“Li lasceremo andare”, ha dichiarato a maggio il ministro dell’interno Angelino Alfano. “Noi diciamo con chiarezza all’Europa: o presidia la frontiera del Mediterraneo insieme a noi o tutti quelli che avranno l’asilo politico in Italia li manderemo dove vogliono andare, cioè nel resto d’Europa, perché in Italia non ci vogliono stare”.

Nel 2011 Roma aveva lanciato la stessa minaccia, ma lo strappo era stato ricucito. Questa volta, però, il nuovo governo del primo ministro Matteo Renzi sembra più deciso. L’Italia non vuole solo che i partner contribuiscano con fondi e navi all’operazione Mare nostrum: vuole che il compito di assistere i rifugiati sia condiviso e che non restino tutti in Italia.

L’Ue è famosa per la sua incapacità di prendere decisioni importanti, ma questa volta sembra costretta ad affrontare il problema.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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