Lo Short Theatre a Roma. (Claudia Pajewski)

Un sipario blocca il palco. Lo paralizza. Lo spettatore viene stordito da parole, all’inizio appena sussurrate, che vengono da un altro mondo. Non vediamo niente, ma sappiamo che qualcosa vive dietro a quel sipario, in quella strana frontiera che separa noi da loro. Le voci dei due attori sono confuse, a tratti adirate. Il pubblico è allo stesso tempo il loro bersaglio e il loro cruccio. Improvvisamente però un occhio appare sulla scena. L’occhio sbircia, controlla, esamina, impazzisce quasi. L’occhio si chiede se si può far vedere intero da quel pubblico famelico abituato a tutto.

Così comincia Insulti al pubblico di Peter Handke, regia di Fabrizio Arcuri. I protagonisti Daria Deflorian e Pieraldo Girotto danno vita con i loro corpi all’incertezza di fare teatro oggi. La penna sibilante e caustica di Handke sa che non c’è più nessuna verità da sviscerare. Il teatro come il mondo è di fatto solo assenza. Spesso di vuote parole.

L’attrice Daria DeFlorian. (Claudia Pajewski)

Ed è proprio sulla parola che si è costruita la nona edizione del festival teatrale Short Theatre. Per gli appassionati Short è diventato uno tra i più vivaci e attivi festival di teatro italiani. Un festival curioso, anarchico, un po’ mattacchione che è riuscito nel tempo a portare a Roma - una città con una scena teatrale tra le più complicate della penisola - le esperienze più innovative della scena italiana ed europea. Short Theatre, diretto dal già citato Fabrizio Arcuri, guidato da un gruppo di persone veramente affiatate, è riuscito nel miracolo di creare un pubblico trasversale, fatto di esperti del settore e non, che ha gremito le sale (toccando picchi di tutto esaurito con lo spettacolo di Fortebraccio Teatro I giganti della montagna- atto I).

Il successo della manifestazione - che si è svolto alla Pelanda, nel quartiere Testaccio, dal 4 al 14 settembre - è dovuto principalmente a un mix che ha coniugato prezzi accessibili (i biglietti avevano un prezzo democratico di 8 euro) e grande qualità. Gli spettatori hanno così potuto bearsi del virtuosismo danzante dell’afroportoghese Marlene Monteiro Freitas o immergersi nell’oralità dei versi concentrici di Mariangela Gualtieri. La parola, o a volte anche solo il suo svuotamento, è stata al centro di tutto. Ed ecco che Wener Waas, Nicola Danesi de Luca, Iacopo Fulgi con Kaspar (un’altra creatura di Peter Handke a cui era dedicato un ciclo nel festival) hanno dato vita a un disadattato che pronuncia un’unica frase: “Vorrei diventare un tale come già un altro fu”. La frase potrebbe bastare a Kaspar, ma intorno a lui la realtà cresce e lo vuole manipolare, civilizzare, costringere in una gabbia. Ed ecco che una pioggia di parole si abbatte sul suo capo e su quello dello spettatore ignaro. Uno spettacolo di due ore e mezza che attraverso la tortura data dalla parola, ci rende chiaro il meccanismo perverso del vivere moderno.

Numerosi sono stati i temi attraversati da questa nona edizione di Short Theatre. Uno di questi è stata la giustizia. Non a caso è stato inscenato un processo contro Amleto reo di aver ucciso il futuro quasi suocero Polonio. L’idea di Yan Duyvendak (portata per la prima volta in Italia) ha mescolato con sapienza la tragedia shakespiriana a un omicidio reale, coinvolgendo il pubblico che per tutta la durata del processo ha preso appunti e discusso animatamente il caso. Se la giustizia l’ha fatta da padrone, l’amore non è stato certo da meno. Antonio Tagliarini con il suo Every-body, una domanda d’amore, ha creato una cornice in cui i corpi si sfiorano, si avvicinano, si mostrano, si abbracciano. Un amore che nasce e muore nel turbinio del movimento concentrico del mondo. E non a caso gli spettatori oltre a essere abbracciati, sono stati sollecitati dai corpi performanti a ballare, a esistere, anche loro in una realtà che ha reso finalmente possibile l’incontro.

Ma la Pelanda non è stata solo teatro. Altre arti hanno fatto capolino nel cortile di quello che era stato il vecchio mattatoio della città. Un po’ ovunque erano sguinzagliati gli stagisti del workshop della fotografa di scena Futura Tittaferante. Per chi invece seguiva da casa, attraverso Twitter, Claudia Pajewski con i suoi scatti ha dato forma all’atmosfera rilassata e conviviale che si respirava a Short. La zona chiamata dei Remissini invece è stata interessata da vere e proprie chiacchiere d’autore, dove Attilio Scarpellini e Graziano Graziani, entrambi critici ed entrambi voci di Radio Tre, hanno analizzato il nostro presente e i suoi strani meccanismi con ospiti come il fotografo Tano D’Amico e il filosofo Giacomo Maramao.

La manifestazione si è conclusa (per trasferirsi al teatro Argentina) domenica 14 con la stupefacente performance di Encyclopedie de la parole di Joris Lacoste, dove le registrazioni sonore sono state eseguite come partiture di musica da camera. Ed ecco che il brusio, il bla bla, il nonsense, il mescolamento delle favelle è diventato una realtà che non solo sentiamo con le orecchie, ma che ci arriva direttamente al cuore.

Uno spettacolo radiofonico in cui il cinese si mischia con l’inglese e dove l’italiano duetta con il francese e il tedesco. Una babele di lingue che ha dato corpo al titolo dell’edizione di Short Theatre 2014, ovvero rivoluzione delle parole, dove la parola è di fatto ancora l’unica via percorribile per arrivare verso un futuro sempre più sfuggente.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it