Se davvero il gruppo Stato islamico ha abbattuto un aereo di linea pieno di passeggeri sopra il deserto del Sinai, un’ipotesi che molti ritengono ormai “una possibilità significativa”, una simile azione rappresenterebbe un importante salto di qualità nelle capacità e negli scopi strategici dell’organizzazione, ma dimostrerebbe anche che i suoi obiettivi restano regionali piuttosto che globali.

Una delle differenze principali tra lo Stato islamico e Al Qaeda, l’organizzazione terroristica da cui si è staccato, è che il primo si è dedicato quasi esclusivamente alla conquista e al controllo del territorio, mentre Al Qaeda, almeno in teoria, continua a dare la priorità a spettacolari attacchi contro bersagli occidentali.

Al Qaeda ha una lunga tradizione di attentati contro aerei. Nel 1995 aveva preparato un piano per abbatterne una mezza dozzina di linea sul Pacifico. Poi ci sono stati gli attacchi dell’11 settembre, il tentativo di colpire un aereo di linea israeliano con un missile terra-aria nel 2002, l’ambizioso piano per prendere di mira diversi aerei sull’Atlantico nel 2006 e i recenti tentativi della filiale yemenita, Al Qaeda nella Penisola araba, di colpire il traffico aereo occidentale.

Lo Stato islamico ha evitato simili operazioni. Uno dei motivi è che grazie ai social network e alle tecnologie digitali, per ottenere visibilità non c’è più bisogno di uccidere civili occidentali in attacchi spettacolari, come accadeva quando i caporedattori professionisti e gli stati autoritari decidevano cosa andava pubblicato e cosa no.

Il filmato di un’esecuzione può essere diffuso in tutto il mondo, creando un grosso impatto emotivo e una reazione politica, usando una minima parte delle risorse necessarie a un attacco più grande e letale in occidente. Basta mandare un pugno di uomini con armi leggere in un albergo o un museo di una qualche località sulla costa mediterranea frequentata da occidentali per ottenere un’enorme attenzione.

Finora lo Stato islamico si è limitato a fare appello ai suoi seguaci in occidente perché colpissero obiettivi vicini a loro, piuttosto che organizzare complessi attentati al di fuori del mondo islamico. Al 99 per cento l’attenzione del gruppo si è concentrata sui propri specifici obiettivi strategici, espandendo lentamente ma inesorabilmente la propria base in Iraq e in Siria e cercando contemporaneamente di costruirsi una rete di affiliati.

Un attacco contro un aereo civile russo rappresenterebbe quindi un salto di qualità, e la rivendicazione dell’attentato da parte dello Stato islamico durante lo scorso fine settimana, per quanto generica, chiarisce che la Russa è considerata parte dell‘“alleanza crociato-sionista” che secondo i jihadisti ha come scopo dividere, umiliare e assoggettare i musulmani di tutto il mondo.

Tuttavia, l’abbattimento dell’Airbus A321M sarebbe comunque da iscrivere in un contesto locale e non globale. La Russia è un obiettivo a causa del suo recente intervento nella guerra civile siriana e non per le sue azioni al di fuori di questo teatro. I principali sospetti dietro questa tragedia, se si dovesse confermare l’ipotesi di un attacco terroristico, sono i gruppi affiliati allo Stato islamico nel Sinai, una regione parte dell’area territoriale che più interessa l’organizzazione.

Se davvero è stata una bomba dello Stato islamico ad abbattere l’aereo – e sia l’Egitto sia la Russia hanno minimizzato ogni ipotesi che colleghi lo schianto al terrorismo – non significa che il gruppo abbia lanciato una vera e propria campagna di violenza globale. O almeno non ancora.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian. Per vedere l’originale clicca qui.

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